Viento ’e terra – Luigi Giampetraglia
Tu si’ comme Viento ’e Terra, Mari’. E io… io sono come una di quelle barche: cchiù sotto te vengo e cchiù tu m’alluntane.
Approfondimento mancato
Viento ’e terra è il giallo d’esordio di Luigi Giampetraglia, autore partenopeo.
Protagonista è Mimì Sannazzaro, poliziotto che fa ritorno a Napoli dopo dodici anni di assenza. Lo ha richiamato in città il mistero legato all’assassinio di Maria, una donna con la quale ebbe da giovanissimo una relazione. Il principale sospettato, il camorrista Raffaele Fusco, è una vecchia conoscenza di Mimì: loro due, con Tonino (un ex poliziotto) e il barista Nunziello, erano grandi amici da adolescenti. Tutti, per un motivo o per un altro, sono coinvolti nel mistero che aleggia intorno al cadavere di Maria.
La trama è senza dubbio interessante e rende la storia diversa dal classico giallo deduttivo. Il punto di forza del romanzo, per quanto ho detto, dovrebbe essere dunque l’approfondimento psicologico dei personaggi: tuttavia, la storia prende un’altra piega.
Infatti, c’è ben poca emotività e l’approfondimento psicologico è minimo.
Dei cinque personaggi principali, ci viene giusto detto che erano amici da giovani e che poi ciascuno ha preso strade diverse: non viene spiegato come questo accade, né sono forniti al lettore i motivi che hanno portato un ragazzone timido a diventare camorrista e a chiedere il pizzo a un suo amico di vecchia data. E però questi sono dettagli tutt’altro che secondari in un romanzo che vuole far leva sul lato umano di un’indagine per omicidio.
Spegnere sul nascere le riflessioni
Oltre a creare dei gravi buchi nella trama, tale scelta narrativa fa perdere una grande occasione per aggiungere spunti di riflessione alla storia, che avrebbe potuto elevarsi a qualcosa di più del solito giallo con mistero da risolvere. Si poteva, ad esempio, riflettere su quanto contino il ceto e il contesto sociale d’origine nel destino di un ragazzo, anche perché poi si scopre che il figlio di Raffaele, pur essendo una giovane promessa del calcio, è coinvolto nell’omicidio.
Insomma, il tutto appare a prima vista molto promettente, ma poi il potenziale viene sprecato. Un’altra dimostrazione è data dal fatto che nel romanzo sono riportati molti flashback della relazione fra Mimì e Maria, ma viene tralasciato l’istante in cui culmina la tragicità della storia, cioè, e molto semplicemente, il momento in cui Mimì apprende che Maria è morta.
Solo in seguito a un simile picco emotivo il lettore può incuriosirsi del legame tra il poliziotto e la vittima, e partecipare più intensamente alle indagini. Ma poiché il racconto lo esclude, crolla tutto il castello di tensione e di dramma che si tenta di costruire.
Perché non il senso di colpa?
Alle antiche amicizie e ai vecchi amori, si affianca anche il tema dell’handicap. Tonino, come ho detto, è un ex poliziotto, perché dopo essere stato colpito da un proiettile ha perso la possibilità di camminare, ed è stato costretto ad abbandonare il suo lavoro. Però scopriamo che è ancora un poliziotto molto capace, perfino più di Mimì: infatti è lui che risolve il caso, o meglio, è lui che induce il colpevole a confessare.
Forse perché il personaggio di Tonino è ispirato a un fatto reale, è questo un tema sul quale l’autore indugia un po’ di più rispetto agli altri presenti nella storia. Sarebbe stato opportuno approfondirlo ulteriormente, magari insistendo sul senso di colpa che Mimì, poliziotto non granché talentuoso, avrebbe potuto provare nel vedere un uomo meritevole mortificato dalle sfortunate circostanze.
Quello della “immeritata sopravvivenza” è d’altra parte un sentire che ricorre spesso nella letteratura del dopoguerra: molti scrittori avevano l’impressione di non aver diritto alla vita, quando tanti migliori di loro erano morti. Inserire questo sentire in un contesto diverso e nuovo, contemporaneo, avrebbe reso Viento ’e terra davvero originale e interessante; ma ancora si assiste mestamente a un potenziale che rimane muto.
Descrizioni vuote
Dal punto di vista stilistico posso dire semplicemente che, non fosse per il dialetto usato dai personaggi, non c’è quasi nulla che mi faccia sentire a Napoli. L’autore ha scelto di dare ai dialoghi molto spazio, riducendo le parti descrittive e narrative.
La scelta avrebbe potuto essere condivisibile al fine di dare al romanzo un ritmo serrato, adrenalinico, ma in questo caso non funziona, principalmente per due motivi. Il primo: le parti narrative e descrittive non contengono sufficienti informazioni. Un esempio:
Tonino blocca la sedia a rotelle con le ruote parallele al muro, allunga il braccio per raggiungere la griglia del citofono, pigia a fondo un pulsante e resta in attesa di una risposta.
Questa descrizione (come ho detto pure di Fedeltà) non comunica niente al lettore: non dà un’idea precisa dell’ambiente in cui il personaggio si muove, né rivela dettagli importanti per comprendere meglio la trama. Non sappiamo se Tonino, trovandosi sotto la casa dell’assassino, è agitato mentre suona il citofono, non sappiamo se è esitante o se è determinato a prendersi una rivincita smascherando il colpevole. Apprendiamo dettagli inutili, come le ruote parallele al muro, che servono soltanto ad allungare “il brodo”.
A essere sinceri l’uso di descrizioni “vuote” non è sempre errato: possono infatti essere utilizzate per creare suspense, o l’effetto slow motion che tanto ci piace vedere al cinema. Tuttavia, in un romanzo in cui si dà largo spazio al dialogo, le poche descrizioni presenti devono essere utili al lettore, devono cioè aiutarlo a capire quello che i personaggi non dicono.
Dialoghi difficili
Il fatto che l’autore prediliga come interlocutori Mimì e Tonino è l’altro motivo per cui i dialoghi di questo romanzo non funzionano. Tonino, lo rivelo adesso, è balbuziente. Se già è difficile per un lettore non partenopeo seguire con scioltezza i discorsi in dialetto dei due personaggi, la situazione si aggrava con le battute di Tonino, a cui oltretutto è affidato il monologo più importante del romanzo, quello che incastra il colpevole.
Pur comprendendo la volontà di caratterizzare così i personaggi, la fluidità dei dialoghi è in questo modo sempre spezzata e il ritmo, più che veloce, è a singhiozzi.
Ci sarebbe ancora altro da dire riguardo la trama e la coerenza psicologica dei personaggi, ma l’analisi qui fatta è già sufficientemente lunga. Credo che in Viento ’e terra ci sia tanta volontà di ritrarre un mondo, ma con una comprensione ancora acerba dei mezzi adatti a rappresentarlo: non ho trovato ritmo, spunti di riflessione, ambientazioni suggestive, psicologie approfondite, climax di suspense, drammaticità. Purtroppo non bastano le buone idee, ci vuole un lavoro costante, duro, spietato.
Ma se la storia vi incuriosisce… buona lettura!
Sono egualmente interessata nonostante il tuo parare personale, come sempre è molto esaustivo ad ogni titolo che leggi.
Ho letto attentamente la tua recensione, devo dire che non fa per me. Non mi piacciono i romanzi nel quale i personaggi non sono ben caratterizzati. Per quanto la storia sembra interessante, non fa per me.
Amo i gialli, quelli corposi, che impazzisci a capire chi é stato, dove ti immergi nelle storie dei protagonisti, da come lo descrivi qui manca tutto questo. Quindi non fa per me.