Teoria e pratica di pane e pomodoro – Leopoldo Pomés
Una volta preparato tutto con spirito allegro, ma attento, procediamo.
Un altro libretto rosso
Un libretto rosso, animato da una disciplina rivoluzionaria, con le caratteristiche di un saggio freddo e serio. No, lettori, sto scherzando: non c’è il presidente Mao, manca totalmente una disciplina, il libro non è freddo, non è serio e, soprattutto, non è un saggio. Sono stata coinvolta dal vero spirito di Teoria e pratica di pane al pomodoro: sì, perché il suo autore, il fotografo e pubblicista barcellonese Leopoldo Pomès, ha scritto un gioiellino divertente, pieno di ironia, di competenza gastronomica e di amore per le cose buone. Pagine che pungolano continuamente il lettore con le loro parole, quasi fossero gli artigli di un vispo gatto sornione.
In effetti, non è difficile intuire la natura del libro, è sufficiente considerare il titolo. “Teoria e pratica”, va bene… ma di “pane e pomodoro”? La merenda, o anche colazione catalana, sembra tanto semplice sia a dirsi, sia a farsi, che non ha proprio senso parlare di teoria e di pratica, così come non ne avrebbero una teoria e una pratica dello sbattimento di palpebre. Sembra.
Il mondo non è più ingenuo come un tempo, e si sa che le cose facili, specialmente in cucina e specialmente se tradizionali, sono veramente difficili, per l’accumulo in esse di saperi antichi e di accorgimenti imparati proprio attraverso una rigorosa pratica. Già, la tradizione: per avvicinarsi a pane e pomodoro, e per poterlo poi realizzare e gustare con tutti i crismi gastronomici, bisogna conoscerla. Leopoldo Pomés, opportunamente, ci espone la storia della sua merenda preferita.
Paniere statistico
Non avendo a disposizione un lavoro bello e pronto cui appoggiarsi, per trovare i dati necessari il nostro autore ha cercato e indagato con mezzi molto scientifici e “sofisticati”: un questionario di due domande presentato a un campione statistico di più di ottocentomila nonni catalani. I nonni hanno mai mangiato pane e pomodoro? Più di ottocentomila sì, un no. Uno che non lo sa. I nonni hanno mai mangiato “insalata tiepida di triglia al vapore con acetosella profumata e patatine novelle”? Più di ottocentomila no, un sì e due che non sanno. Bene, è difficile trattenersi dal ridere, sia per le domande sia per quei poveri nonni che non sanno: avranno capito il “questionario”? Uno stesso nonnino non sa né se ha mangiato pane e pomodoro né se ha mangiato la triglia?
Via, non c’è tempo per sghignazzare, il sondaggio ha dato dei risultati, in fin dei conti. E…
[…] visti i rivelatori e spettacolari risultati della nostra ricerca, la conoscenza del pane e pomodoro da parte dei nostri nonni ci porta alla prima riflessione, vale a dire: la sua origine non è chiara.
Niente da fare, Pomés è un inguaribile burlone e il riso sulle labbra noi lettori non dobbiamo nasconderlo, anzi. Perché aver paura del ridicolo?
Teoria per una globalizzazione di pane e pomodoro
Essendo italiani, non possiamo aver paura del ridicolo: lo dice chiaramente il nostro autore. Gli italiani non temono di cantare “[…] l’opera mentre preparano e mangiano la […] pasta asciutta e la […] pizza”; al contrario, i catalani hanno un pudore esagerato, e di pane e pomodoro… non parlano, lo tengono segreto. È una questione di intimità, pane e pomodoro non può essere condiviso col mondo, potrebbe quasi essere paragonato a una nudità. Ovviamente, un qualunque catalano, più nello specifico un barcellonese, non potrebbe mai dedicare un libro a pane e pomodoro, la paura di far ridere sarebbe troppa.
Un vero peccato, perché pane e pomodoro, in altre mani, potrebbe diventare come la pizza o gli hotdog. Anzi, anche meglio degli hotdog: esiste una precisa teoria economica di pane e pomodoro, la quale mostra, tenendo conto della fluttuazione dei prezzi, il notevole risparmio che la merenda può garantire a chi decide di farne una ragione (gastronomica) di vita. E poi pane, pomodoro e olio si trovano ovunque, no? Riflettendo su questo è facile dare ragione a Pomés: se pane e pomodoro “non si esporta” (in senso lato), la colpa è soltanto dei catalani e della loro mentalità.
Meno telling, più story
Insomma, la teoria è matematica, storica, economica, come abbiamo visto. Ma c’è, ovviamente, la pratica. La sezione del libro ad essa dedicata, molto seriamente si intitola così:
ACCESSORI, SITUAZIONI, COMPAGNIA E MOMENTI PER LA CORRETTA ELABORAZIONE E DEGUSTAZIONE DEL MAI TROPPO APPREZZATO PANE E POMODORO
Sì, sì, niente vergogna del riso, ricordiamo che questa è la versione del libro di Pomés fatta apposta per noi italiani.
Ebbene, le regole per una corretta esperienza di pane e pomodoro sono spassose: ce ne sono tante, pensate nei più minuziosi dettagli, così da sembrare a volte quasi delle prescrizioni liturgiche, a volte delle espressioni di una sofisticata “filosofia del cibo”. Ad esempio:
Non va bene un piatto qualsiasi. In cucina, nella gastronomia e per estensione nella vita, non si deve mai usare il termine «qualunque cosa»: tutto ha la propria importanza e influenza.
È quasi naturale interpretare le pagine della sezione “pratica” del libro come una parodia dello “storytelling” ormai onnipresente in campo culinario. Il piatto che non può essere più soltanto “buono”, deve coinvolgere tanto i sensi quanto il puro pensiero, portando a un’esperienza intellettuale (e pure sociale) completa. Ma tale esperienza è impossibile se ci si limita al cibo, bisogna appunto raccontare una storia attraverso l’impiattamento, la descrizione degli ingredienti, l’incarnazione in essi di sentimenti chic. Vi vengono in mente certe scene delle varie edizioni di Masterchef, lettori? Bene, se con occhio smaliziato ci accorgiamo che Masterchef ha molto a che fare con un certo “maltrattamento” (reminiscenze scolastiche?) dei concorrenti e meno con la (vera) esperienza del buon cibo, finalmente possiamo vedere il bulletto ridicolizzato: Teoria e pratica di pane al pomodoro Masterchef se lo mangia!
Trendy con pane e pomodoro
O meglio, il suo bersaglio non è Masterchef (avrebbe dovuto esserlo ante litteram) è appunto il vuoto storytelling cui ho fatto cenno: se la mia interpretazione ha qualche fondamento, il libro fa la parodia non tanto della cultura del cibo e dell’alta cucina, perché il cibo e l’alta cucina sono cultura, ma di una certa cultura del cibo, l’equivalente, in materia, di molti vuoti discorsi filosofici contemporanei, tutti paroloni, forestierismi, formule oracolari… e zero significato. La “pratica” del nostro libro, rispetto a tale intento parodistico, è graffiante, sa benissimo dove colpire e non delude, proprio come la sua “teoria”. Il divertimento è immediato, se consideriamo regole come queste:
QUANDO, CON CHI E DOVE SI DEVE MANGIARE PANE E POMODORO
Mezz’ora dopo aver fumato erba.
[…]
Alle tre di mattina, dopo aver fatto l’amore.
[…]
La seconda volta che ricevi in casa un ambasciatore o un ministro straniero.
E voi lettori vorreste poi non mostrare un sorriso misto di divertimento e incredulità, davanti ai disegni che illustrano infine le ricette (quella “ortodossa”, in effetti seria, rigorosa, per veri buongustai, e quella “acalorica”) e danno un quadro più chiaro di quanto detto solo a parole? Pomés ha pensato a tutto: se nella teoria si doleva di non vedere pane e pomodoro prendersi la sua fetta (vi giuro lettori, non l’ho fatto apposta) nel mercato globale, nella pratica si cura di proporre suggerimenti per un merchandising adeguato allo scopo. Tra gli altri, uno stand di pane e pomodoro (cioè fatto di pane e pomodoro) per le fiere internazionali e magliette trendy con impressa una fettona di pane e pomodoro e il motto “I love Pa & tomàquet”: geniale.
La vera esperienza gastronomica
Sì, il divertimento è davvero immediato, ma Teoria e pratica di pane e pomodoro non è un libro semplificato o, peggio, superficiale. Buona parte della sua ironia, dei suoi momenti comici, è godibile soltanto cogliendo le contraddizioni interne, i riferimenti colti, le allusioni, le anticipazioni e le riprese. Ad esempio, l’intento parodistico della “teoria”, ma soprattutto della “pratica”, può essere compreso pienamente solo se si fa riferimento all’apertura del libro, di cui fin qui vi ho taciuto. Come inizia davvero Teoria e pratica di pane e pomodoro? Con un bambino che, negli anni Quaranta, ama moltissimo la merenda catalana. Ovviamente, il bambino è proprio Pomés e l’apertura è un ricordo: ecco l’esperienza sensoriale e intellettuale!
Volete lo storytelling, lettori? Pomés ci dà subito una storia e, con questa in mente, è poi facile capire molto di più sulla parodia di cui vi ho già parlato:
Faceva molto caldo e una dolce, bella donna preparava, con amore, la merenda per il suo piccolo. Erano tempi difficili e il figlioletto, l’unico, doveva essere, per quanto possibile, molto ben nutrito: «El nen ha de crèixer» («Il piccolo deve crescere»).
Senza spiegarsi, ma lasciando il compito proprio a noi lettori, Pomés dà la possibilità di riflettere sulla differenza fra una storia “naturale” e davvero intimamente legata al cibo, e uno storytelling costruito ad arte, un’esperienza in fin dei conti artificiale e limitata. Per quanto curato e magistralmente eseguito, lo storytelling cui ci siamo ultimamente abituati resta sempre espressione di una mentalità “usa e getta”: finito il piatto, finita la storia. La storia raccontata da Pomés, invece, nella sua semplice struttura ricorda quasi una favola, di quelle classiche, che ritornano sempre: di sicuro non si può dire che scaturisca da una mentalità usa e getta, considerando che il nostro autore ha ricordato con gioia i suddetti momenti d’infanzia fino all’ultimo suo giorno. E fino all’ultimo ha amato pane e pomodoro, con la stessa ghiottoneria dei suoi anni più remoti.
Un’interpretazione filosofica (forse)
Vi ho detto che Teoria e pratica di pane e pomodoro è molto spiritoso e irriverente, ma ora avete capito che è forse possibile dare alle sue pagine una sorta di interpretazione filosofica. Si può intuire per tutto il libro: a volte è nascosta e trovarla richiede un certo impegno, altre volte è più in superficie. Ad esempio, nella “teoria”, Pomés propone due aneddoti popolari sull’origine di pane e pomodoro. Uno è molto terra terra, in sostanza vede in pane e pomodoro il classico espediente per non gettare ingredienti di scarto; l’altro è “romantico”, un artista che vuole rendere omaggio alla bellezza della sua terra. Ebbene, il nostro autore ci invita a scegliere di credere a quello dei due che “che meno [ci] faccia passare la gioia e la salivazione nel consumo del […] glorioso pane e pomodoro”: e così facendo non siamo poi portati a chiederci se davanti alle (piccole o grandi) cose siamo più concreti o più sognatori? Più pratici o più teorici (il titolo che ritorna)? Più aristotelici o più platonici? Possiamo anche non domandarci nulla e tirare dritto, ma intanto il libro ci ha messo la pulce nell’orecchio.
In conclusione, Teoria e pratica di pane e pomodoro è un libro divertente e anche profondo, di quelli che danno l’impressione al lettore di essersi perso qualcosa, durante la lettura: è uno di quei libri che costringono a ricominciare subito dopo aver finito. “Annusa, chiudi gli occhi, mordi, gusta, ripeti”, come scrive Nicola Santini a conclusione della sua personale ricetta di pane e pomodoro, sembra proprio essere una pratica adatta a chi si domanda come leggere correttamente il libriccino di Leopoldo Pomés.
Dunque, se vorrete esplorare le vette e le profondità nascoste che le sue poche pagine sapranno regalarvi, io vi consiglio anche di cimentarvi con le ricette del libro, soprattutto con quella acalorica (si sa, la salute, la forma fisica) che indubbiamente non vi deluderà. E già vi auguro una buona merenda e una buona lettura!