Tarzan – Edgar Rice Burroughs
Spesso uccideva per mangiare ma, essendo un uomo, alle volte uccideva per semplice diletto, una cosa che non fa nessun altro animale. Infatti l’uomo è il solo tra tutte le creature che uccida senza motivo e gratuitamente, per il solo piacere di infliggere sofferenza e morte.
OAHHHHAHAHOAHHHH
È difficile trovare qualcuno che non conosca il mito di Tarzan, l’uomo allevato dai gorilla e cresciuto tra di loro. Il personaggio di Tarzan ha avuto un tale successo da entrare a far parte della cultura generale, ispirando registi e perfino cantanti.
Il romanzo che ha dato vita a questo mito, però, non gode della medesima fama: se tutti sanno chi è Tarzan, pochi hanno letto il romanzo, non considerandolo un classico di gran conto. Sfogliando le pagine si capisce ben presto il perché: Tarzan è un libro “demodé”, con le sue descrizioni pressapochiste e il clima violento. I gorilla vengono descritti come animali irrazionali e immotivatamente furiosi, e Tarzan è un abile uccisore, di belve e “negri” (come recita la traduzione di Gianni Pilo) indifferentemente. Si è ben lontani dall’atmosfera romantica al quale la cinematografia ci ha abituato e che è tipica della nostra generazione, e tanta ferocia ci fa proprio un po’ storcere il naso.
Dimentichiamo il politicamente corretto
Ma andando oltre, grattando un poco quella patina eurocentrica tipica ottocentesca, si può ammirare un capolavoro ingiustamente insabbiato dalla critica.
Tanto per cominciare, la trama è di un’originalità eccelsa, prova della fervida immaginazione di Burroughs, scrittore un po’ per caso. Ma questa originalità combacia perfettamente con diversi tòpos letterari: il protagonista orfano, la sfida all’autorità, la passione travolgente, la competizione tra rivali in amore. L’autore conosce benissimo le strutture che, per quanto sfruttate, funzionano sempre magnificamente in un romanzo, rendendolo avvincente.
A ciò si legano messaggi che, in realtà, hanno ben poco a vedere con l’eurocentrismo: il linguaggio di Burroughs è senz’altro poco ortodosso, ma il concetto è ben chiaro.
È evidente l’ammirazione dello scrittore per la razza umana e la sua straordinaria intelligenza, ma non viene mai celata l’amarezza che deriva dal constatare che tale dote viene utilizzata per nuocere inutilmente al prossimo. La crudeltà umana ci viene mostrata già dall’inizio, quando Lord Greystoke e sua moglie Alice, incinta, vengono abbandonati nella giungla africana in seguito a un ammutinamento del brigantino Fuwalda. Tarzan, figlio dei due nobili inglesi che moriranno dopo poco la sua nascita, è già vittima inconsapevole della malvagità dell’uomo.
La morale c’è eccome
Possiamo vedere dunque come Burroughs rivolga un duro rimprovero ai suoi simili che si combattono fra loro, e ciò è evidente anche nel brano in cui viene descritta una tribù indigena con la quale Tarzan viene a contatto. Questa popolazione, una volta forte e rispettata, viene cacciata dalla terra che l’ha ospitata per molto tempo a causa dell’invasione dei bianchi.
È difficile dire se si può parlare di critica al colonialismo europeo, fatto sta che emerge l’egoismo e la brama di potere dell’essere umano: i bianchi sui neri, i neri sugli animali, e così via, in un cerchio di violenza senza fine.
La ricerca e il conseguimento della propria felicità intacca quella di un altro essere vivente, questo ci dice Burroughs: tutti contro tutti.
Da riscoprire
In questo clima, Tarzan cerca di schierarsi in una fazione, di entrare a far parte di uno di questi mondi che la natura offre, ma ciò gli viene negato: sebbene si prodighi per portare in salvo la famosa Jane e i suoi compagni, si vedrà marchiato come un selvaggio un po’ tonto.
Non riuscendo ad andare oltre la buona educazione e i titoli nobiliari, i gentiluomini inglesi e americani non vedranno la bontà d’animo del nostro protagonista: troppo impegnati a mettere paletti fra loro e gli altri, non saranno capaci di notare i punti in comune e le affinità condivise con esseri non appartenenti al loro ambiente.
Un messaggio fortemente attuale e tutt’altro che “démodé”, evidentemente.
Buona lettura!