Sette storie gotiche – Karen Blixen

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IL GIUDIZIO:

karen blixen

Dovrete capire quel che potete, e lasciar da parte il resto. Non è un cattivo segno per una storia, se la si capisce soltanto a metà.

Cubo di Rubik

L’estratto citato calza a pennello: ho fatto fatica a comprendere fino in fondo questo libro, non perché sia scritto male o perché la scrittrice abbia uno stile ermetico, ma per via della sua difficile struttura.

Ma andiamo per ordine: Sette storie gotiche è una raccolta di racconti scritti da Karen Blixen (celeberrima autrice de La mia Africa) nel 1934. L’ambientazione storica oscilla tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento: questo spiega l’aggettivo “gotiche” del titolo, che non ha nulla a che fare con il macabro e gli spettri, ma si riferisce piuttosto a quella inclinazione romantica e nostalgica che caratterizza quasi tutti i personaggi che affollano le pagine del libro. Questi personaggi, la cui psiche è analizzata in ogni sua sfaccettatura, si intrattengono raccontando storie e novelle come la giovane combriccola boccaccesca.

Avanti e indietro

La Blixen ricorre dunque alla tecnica che ha reso grandi il Decameron e Le mille e una notte, ovvero la metadiegesi: ci viene cioè raccontata una storia dove un personaggio diventa egli stesso narratore di una storia. Spiegata fin qui la struttura sembra complessa ma non complicata, cos’è dunque che me l’ha resa difficile? Innanzitutto bisogna ricordarsi della struttura del Decameron: questo è infatti un’opera estremamente ordinata, scandita in giornate, in temi, dove ogni personaggio racconta dall’inizio alla fine la sua storia, senza che questa venga mai interrotta, e senza che i pensieri del narratore si mischino con le vicende favellate; la realtà dei giovani in ritiro in campagna non si confonde mai con quella di Ser Cepparello.

In Sette storie gotiche invece si fa continuamente avanti e indietro tra il presente e il passato, tra le vicende personali dei personaggi e le leggende, la suspense viene continuamente spezzata da questi racconti. L’errore in cui può incorrere facilmente il lettore è quello di avere fretta di andare avanti nella storia, e leggendo quindi distrattamente i racconti dei personaggi, o addirittura saltandoli: è proprio in queste storie nella storia, nella loro collocazione in un tempo e in un luogo dai contorni sfumati, che in realtà si rivela tutta la bellezza del libro e l’ingegno dell’autrice.

In arrivo alla stazione di…

Questo libro va vissuto come si vive un viaggio in treno: senza aver fretta di giungere a destinazione, mettendo in conto che potranno esserci lunghi ritardi da riempire chiacchierando con i passeggeri e guardando i paesaggi fuori dal finestrino; leggendo e apprezzando quindi ogni pausa dell’autrice, ogni disquisizione che esula e ci allontana dalla trama. È ovviamente un libro che sconsiglio a chi ama e trova irrinunciabile il ritmo deciso delle trame avvincenti. Tuttavia, a chi saprà goderselo, il libro schiuderà pagine brulicanti di vita, personaggi profondi e complessi, dei veri eroi romantici, meditabondi più che energici; e ancora luoghi stupendamente descritti che paiono dipinti, una straordinaria cura dei dettagli, infiniti spunti di riflessione.

È necessario insomma capire quel che si può, e lasciar da parte il resto. È un libro elegantemente e sapientemente scritto (a tal proposito, bisogna lodare l’ammirevole traduzione di Alessandra Scalero, che ha saputo tradurre nella nostra lingua una tanto bella quanto articolata e complessa prosa poetica), che se letto nella giusta chiave e con la giusta predisposizione, sarà un amico dal quale non vorrete più separarvi.

Buona lettura!

Sara

Ciao! Sono la fondatrice del blog letterario "Il pesciolino d'argento", amo profondamente i libri, l'arte e la cultura in generale.

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Una risposta

  1. Pierluigi Oliva ha detto:

    Trovo condivisibile la recensione.