Ricco sfondato – Raine Miller
«Oh, cazzo!»
Fanculo, merda, porca troia.
Tamarro d’agosto
È agosto. Che si fa ad agosto? Si va in vacanza. E io ho bisogno di una vacanza, soprattutto dopo essermi presa una pallottola al posto del buon Gennaro Sangiuliano. Non fraintendete, non sono stata assunta nel suo entourage di guardie del corpo, anche perché: 1) non ho la stazza per farlo; 2) ma chi se lo caga a quello?! Nessuno manco sa che esiste, figuriamoci se è nella lista nera di qualche killer.
No, la pallottola era quell’orribile Come d’aria, bleah. A Gennà, scusa, non è che la prossima volta potresti leggere almeno un poco, invece di votare a scatola chiusa? Così magari mi risparmi il rodimento di dover fare il lavoro al posto tuo, eh? Ah, perché perdo tempo?, non succederà mai.
Embè, che volete, comunque sia, il mio cervello deve riprendersi. Deve evitare gli sforzi, riposo assoluto. Il riposo del cervello, però, è alquanto particolare: si riposa rimanendo in attività. Già, non deve ridurre la quantità di pensiero, deve solo stare attento alla qualità: niente pensieri complicati, niente emozioni troppo forti. Ciò che serve è una sana, naturale e corroborante lettura di cacca. Sì, proprio così, un bel libro di merda. Non la solita merda, quella intellettuale: deve essere stupidissima, completamente cretina. Idiota.
Oh, un bel Saviano!, mi sono detta, è la vacanza che serve alle mie menin… ah, no, quella è cacca, ma è cacca furba. Uhm. La Gamberale! Ah, no, non ha scritto nulla ultimamente. Allora… uh… un Bazzi…ah, no, troppo, troppo cretino, non voglio rilassarmi così tanto (e poi ho già letto tutti i due, DUE!, suoi libri). Per niente facile, per niente facile. Sono rimasta per un po’ di tempo a girare in tondo, finché, finché… lettori, ecco il salvatore! Gli occhiali scurissimi del chaddone sulla copertina mi hanno rivolto la parola: “Tutto bene, stai tranquilla, ci sono io, adesso”. Oh sì, che gioia, è lui, è il libro di merda che stavo cercando: Ricco sfondato.
Un tamarro incredibile sulla copertina, giallo oro cafone per sottolineare il “ricco”, “sfondato”, “New York Times bestselling author”, Raine Miller che… che non so chi cacchio sia. Uao, lettori, uao. Le premesse ci sono tutte, è la lettura da ombrellone per eccellenza, quella che può aiutarmi a dimenticare Ada D’Ad… D’Adad… dadada tututù tu tu tutù dadada… mmmh, sta già funzionando!
Bruttiful
Cominciamo la barzelletta: ci sono una protagonista, bellissima e di umili origini, che ha un passato difficile, un gigachad ricco (miliardario… in dollari eh, mica in rubli) e gentiluomo, e alcuni profilattici. Sì, i profilattici, fidatevi sono fondamentali, e ne parleremo.
E va bene, ho capito, ho capito, è la solita storiella, l’abbiamo sentita mille volte. Avete ragione, ma posso almeno farvi notare che in Ricco sfondato ci sono delle differenze, rispetto agli altri chick-lit? Davvero: stavolta la tipa si chiama… eh… Brooke… Brooke Casterley. È inglese, fa la designer, e non ha ventisette anni. Ne ha ventitré. Uhm… occhei, forse è tutto un cliché.
Però, dai, almeno lui è… uff, no, non Ridge… lui è il solito Caleb, perché ci vuole un nome ebraico dell’élite americana, quando il chad non è solo chad, ma è anche ricco. Caleb: e di cognome Blackstone. Sentite che potenza: “Blackstone”. Uhhhh! Vabbè, c’ha trentun anni, e poi… uhm… che altro posso dire… uh… è bello… ah, e poi è ricco.
Eh, direte voi, ma perché è ricco, cioè, cosa fa? Dunque, per capirlo, voi dovete prima partire da un presupposto: Caleb è ricco. Occhei? Fatto? Adesso partite da quel presupposto e arrivate alla conclusione. Ma come “quale”? Che Caleb è ricco, no? Oh, e d’accordo, vi spiego per filo e per segno. Dovete sapere che non ha importanza perché Caleb sia ricco: è importante che lo sia e basta, perché la ricchezza è l’elemento della sua personalità capace di soddisfare i desideri sessu… ehm, materia… ehm… i desideri di Brooke. Chi se ne fotte di come guadagna, cioè, volete un chick-lit o L’investitore intelligente? Voi sicuramente chiedete all’autrice un ricco alla Bruce Wayne, non un ricco alla Bezos de “Il pianeta dei pelati”… chiedete un ricco figo, non un ricco ricco. E Caleb è tanto figo quanto è ricco, parola di… eh… del New York Times, ecco. Ad ogni modo, per gli irredimibili nerd fra voi, il nostro chaddone è ricco perché fa robe col petrolio e con le energie rinnovabili, boh. Cioè, è ricco tipo perché c’ha il petrolio però è anche ricco perché è green e pensa alle tartarughe… che ne so?!
Mah, passiamo oltre, ché queste discussioni tecniche mi fanno venire il mal di testa. Bla, bla, bla, c’è un ricevimento: Caleb è l’ospite figo e Brooke è la cameriera figa. Ebbene, Caleb diventa subito di marmo, come direbbe il buon Peppe Fetish. Brooke, invece, la molla solo dopo aver ricevuto, nell’ordine: una pianta; un ingaggio come designer; un compenso che salverebbe la Russia dalle sanzioni; un invito a cena; un invito a dormire nell’attico di Caleb.
Come posso esprimermi in maniera poetica? Ah, certo: ehm, ehm… dopo che Brooke è stata trapanata, nei due piccioncioni sorge l’esigenza di lavorare su loro stessi per raggiungere un equilibrio sentimentale. Caleb, essendo sempre pronto a scattare dritto sull’attenti, vorrebbe subito sposare Brooke; lei invece, eh, ci tiene a controllare scrupolosamente l’effettiva qualità del prodotto, anche perché si è già sbagliata una volta lasciando fraternizzare la sua marmotta con un tipo violento e prevaricatore, tale Marcus. Ehi, il cattivo della storia, il Gaston della situazione! Non proprio.
Questo Marcus, in effetti, non è l’ex peggiore del chick-lit: l’onore va a… boh, tale Janice. Janice è la donna che, prima di Brooke, lavorava per Caleb come scaldatesticoli: per qualche incomprensibile motivo, il nostro chad la scarica dopo una notte di passionali dibattiti epistemologici, e così Janice diventa una pazza isterica e vendicativa. Pensate, questa svitata si dimostra pronta a tutto, totalmente priva di freni morali, una sociopatica capace perfino di… di bucare i profilattici del buon Caleb! Eccallà, vi avevo anticipato che i preservativi erano dei personaggi fondamentali: oltretutto, non vi ho detto che questi comprimari sforacchiati partecipano alla romantica prima notte di Caleb e Brooke, perciò… fate un po’ voi…
Ah, quasi dimenticavo un dettaglio strutturale: la narrazione di Ricco sfondato è in prima persona, e i punti di vista dei due protagonisti si alternano. Pertanto, possiamo goderci le varie scopatine scoprendo come le vivono entrambi i nostri eroi del jet set.
Effetto cazzone
Dai, insomma, come chick-lit non è che sia malissimo. Non è malissimo perché è praticamente uguale a tutti gli altri chick-lit, quindi è soltanto “male”. Almeno, questo è ciò che pensate, no? Sbagliate. Ricco sfondato ha una marcia in più, e si tratta di una marcia che permette al veicolo di muoversi un metro in avanti e poi un metro all’indietro. Esatto, è una marcia nonsense. E il nonsense è proprio ciò che rende grande (ma pronunciatelo come un cinese stereotipato) la scrittura di Raine Miller. Proviamo a vedere da vicino alcune notevoli meraviglie che ben chiariscono la mia opinione.
Torniamo al ricevimento. Stando a quanto scrive la nostra autrice, la… “stanza”… è “piena di soci in affari”. Va be’, più o meno abbiamo capito, ci sono dei pezzi grossi. Ora, voi che pensate? A un evento di alto livello, io mi immagino plotoni di camerieri in livrea, con lo sguardo serio e l’efficienza di robot. Oddio, professionisti del genere li schiera Imma Polese (o meglio, suo marito) pure quando i clienti sono la quintessenza del terrone, vi pare che un locale in, che più in non si può, di Boston (ah sì, stavolta siamo a Boston, finalmente la storia è ambientata nella stessa città degli altri chick-lit) non abbia almeno il doppio o il triplo della forza lavoro?
Vi pare, eccome. Perché non solo Brooke non è in livrea, e non solo si presenta con gli stessi stivali sudici con cui è descritta nella sua apparizione precedente, ma è anche l’unica cameriera! Maccheccazzo, pure gli sfigati di Cucine da incubo hanno più personale, ’ndo cacchio porta Caleb i suoi pari, eh?! Ah, scema io, è tutto spiegabile! Certo, Raine Miller non fa indossare a Brooke una sobria uniforme e non le affianca altri camerieri perché la nostra eroina deve assolutamente monopolizzare l’attenzione di tutti gli astanti. E, infatti, questi ultimi letteralmente impazziscono e cominciano a fare sogni bagnati da svegli, come ci spiega il seguente brano:
[…] non avrei mai potuto dimenticare quegli stivali così sexy. L’ora successiva, la passai a fingere di essere socievole, attaccando bottone con gente che a malapena ascoltavo, solo per poterla guardare muoversi per la sala a servire polpette con indosso quella gonna stretta e quegli stivali da sesso. Me la immaginai perfino nuda, con solo quelli addosso. […] Mi accorsi anche di non essere l’unico a guardarla: quegli stivali di certo non la rendevano anonima […].
«Passerei la vita intera a palpare ben bene quel culetto… con quegli stivali da porca addosso. […] Ehi, Caleb, lasciaci in pace, a me e Stivali Sexy, stiamo facendo conoscenza e pare proprio che abbia bisogno di una bella cavalcata con quegli stiv…»
Mmmh, stivali, stivali! È scrittura coi fiocchi, lettori. Prendete nota, è in questo modo che si rende un vero schianto un semplice personaggio fatto di lettere e parole. Certo, un pochino la ripetitività delle descrizioni si fa sentire… però è ’na qualità! È ’na qualità, io lo dico sempre, che… cosa? Come? Ah, no, non posso? No, non posso dirlo, a quanto sembra la ripetitività non è una bella cosa: su Brooke causa una specie di “effetto Aiazzone”… uhm, sarà.
Lettori, vi suonerà forse paradossale, ma la sovraesposizione di un personaggio non aiuta affatto a esaltarne le doti. Viviamo la sovraesposizione come un’imposizione, e sappiamo bene che il modo migliore per convincere qualcuno a non fare qualcosa è proprio imporgliela. Tenere a mente questa, e altre semplici regolette empiriche, è un dovere del bravo scrittore. Anche dello scrittore appena decente, ecco. Giusto per essere più precisa, se non ho attribuito a Erin Doom il titolo di “Gianrico Carofiglio” è solo perché in Fabbricante di lacrime è stata sufficientemente attenta a non caricarci le palle con le descrizioni della sua protagonista, alternando in maniera abbastanza naturale i fatti che la riguardano con quelli coinvolgenti i personaggi secondari.
A mio parere, se Raine Miller avesse seguito un canovaccio simile, sarebbe stato meglio: confondere Brooke in mezzo ad altre cameriere, magari anche più appariscenti, si sarebbe rivelato un artificio utile per farci appassionare allo sviluppo di una sorte alquanto incerta, non troppo lineare. Ma, ehi, sticazzi, l’idea top è farne l’unica donna in mezzo a un branco di eccitati che scoprono per la prima volta la patatina. Cioè, l’idea è top se l’obiettivo è il cringe.
CCCP (Cazzo Che Cringiata Porca vacca!)
E noi lasciamo perdere il set del primo incontro, gustiamoci un po’ di più la vera azione. Brooke e Caleb si conoscono, dunque, solo che le cose fra loro non vanno immediatamente lisce, al contrario di quel che avete potuto credere dal mio riassuntino. Prima di arrivare al sessone che ci interessa, e di cui vi ho anticipato, dobbiamo passare per alcune peripezie. Vedete, è che la nostra tipa ha un sacco di debiti (è inglese, però vive in America, e si è adattata alle usanze locali), eggià. Tranquilli, tranquilli, non deve mazzette a un magnaccia, i debiti che ha li ha contratti per pagare le cure della nonna, povera stella. Armata del suo cuore d’oro, non vi stupisca quindi che, all’inizio, Brooke si permetta di giudicare Caleb un caccoloso viziato che non conosce le reali difficoltà della gente comune che vive a… eh… Blackstone… Island (sì, Brooke non vive proprio a Boston città):
«Non tutti quelli che vivono sull’isola hanno una villa con spiaggia privata, Caleb. Anzi, la maggior parte dei residenti fissi fa fatica a trovare un lavoro che permetta loro di avere una casa e del cibo durante l’anno. Il turismo è stagionale, e la realtà è completamente diversa per noi che non viviamo sulla costa ovest.»
Capito, fettina di cazzo? Oh non avrei mai pensato di dirlo, ma… che è tutto questo socialismo in un chick-lit americano? Be’, be’, c’è una spiegazione. Conosciamo Will. Will è un personaggio idolo che compare solo una volta: è un soggetto premuroso e “carino”, e si guadagna il pane guidando il traghetto che collega Blackstone Island a Boston…
Will non era uno che parlava tanto, ma era gentile e molto serio riguardo al comandare la sua imbarcazione. Lui era un altro di quegli abitanti dell’isola che dovevano lavorare tutto il giorno duramente per sopravvivere in un sistema economico molto impegnativo. […] Avevo come la sensazione che se avessi incoraggiato in qualche modo Will ad andare oltre l’amicizia, qualcosa sarebbe accaduto. […] Will era carino, molto attraente, un gran lavoratore e un ottimo partito per qualsiasi ragazza […].
Occhei, siamo franchi: sappiamo benissimo che il chaddone è Caleb, però… eh, Will può essere l’alternativa che ci mette un sacco di dubbi sull’effettivo svolgimento della trama. Dopotutto, è bello anche lui (perché, voi forse non sapete, ma nei mondi possibili in cui sono ambientati i chick-lit tutti i brutti sono come… come… come gli ebrei in un mondo dove ci si saluta con “guten tag!”) e ha inoltre lo status (o meglio, non ce l’ha) adatto a soddisfare le esigenze proletarie di Brooke Lenin.
E appunto, la Miller si serve di Will per… boh! Come vi ho anticipato, Will compare solo una volta: in sostanza, la nostra protagonista valuta la merce e fine. E i sentimenti bolscevichi, e la lotta di classe? No problemo, si risolve tutto. Will non ci serve affatto, abbiamo la nonna di Brooke! Eh, già, a un certo punto la nonnina si sente gagliarda (può darsi che qualcuno abbia scambiato i farmaci e si sia beccata una bella dose di Viagra) e riesce a procurarsi un gran bel betaprovider. Sì, lettori, la nonna. E il suo betaprovider (oh, ma quanto ci sta bene lo slang incel nel commento a un chick-lit?) non è un betaprovider qualunque: è lo zio di… ma di Caleb, no?! Ed è anche il sindaco di Blackstone Island. Ebbene, in questo simpatico quadretto vagamente incestuoso e sicuramente senile, Brooke la sovietica scopre che un sindaco capitalista può risolvere qualunque guaio economico e sociale, quando ha sfamato la bestiolina che vive nei suoi pantaloni: infatti, il sant’uomo stralcia tutti i debiti dei Casterley. C’è di più: la nonna, preparandosi a vivere il resto della sua vita in un turbinio di sesso sfrenato, va a vivere col suo ganzo, e lascia la casa direttamente a disposizione di Brooke. Per ricapitolare: la nostra eroina non ha più debiti, ha una proprietà immobiliare non malaccio, e qualunque cosa decida di fare con Caleb sarà comunque imparentata con i capoccia del Massachussets. Com’era quella storia che la realtà è diversa per “noi che non”, eh? Ah, fanculo i poveri, Brooke è sistemata ormai, dal punto di vista finanziario: andrà a comprarsi delle dune buggy!
Occhei, ho un po’ parafrasato il romanzo, eh, eh, eh… ma è tutto certificato! Se volete il brano originale…
Come avevo fatto a passare dalla paranoia riguardo ai soldi a possedere un cottage da due milioni di dollari a Blackstone Island, in una sera? Com’era potuto accadere? Mia nonna avrebbe sposato l’amore ritrovato della sua vita, Herman, che guarda caso era anche il sindaco dell’isola. […] Erano appena passate le dieci, quando presi in mano il telefono per guardare le foto di Herman e mia nonna. Vidi anche le foto delle polpette, e senza sapere perché mandai un messaggio a Caleb. Era una cosa stupida, ma volevo scusarmi con lui. Mi sentivo in colpa per come la nostra conversazione telefonica fosse finita con la mia piazzata su parte ovest vs parte sud. Cazzo. Ero stata una stronza. I miei commenti erano stati al vetriolo, anche se a dire il vero non me li ricordavo con esattezza. Per fortuna.
Capito? ’Naggia, quel rantolo da Rivoluzione d’ottobre era solo una “piazzata” da “stronza”. E la lunga barba bianca non era per cosplayare Marx, era un costume da Babbo Natale.
E vabbè, dopo aver fatto tabula rasa nel suo cervello di tutte le nozioni di giustizia sociale e di redistribuzione della ricchezza, la nostra protagonista può finalmente godersi la bella sensazione di un vecchio (e sottolineo vecchio!) che, per servirla, diminuisce di molto le proprie opportunità di rimanere in discreta salute:
«Mi spiace che stia piovendo a dirotto, ma Isaac si occuperà di te» mi disse [Caleb], una volta fuori dallo studio.
Un signore distinto, coi capelli grigi, mi coprì con un ombrello enorme e mi condusse fino alla Mercedes nera, senza che una goccia mi sfiorasse il corpo. Caleb si accomodò nel sedile accanto al mio.
La portiera si chiuse subito dietro di lui, silenziando il rumore della pioggia battente. Entrambi ci voltammo l’uno verso l’altro e iniziammo a studiarci, muti, senza staccarci gli occhi di dosso.
Spero che Isaac distolga lo sguardo, i due innamorati devono potersi eccitare senza sentirsi a disagio. Altrimenti, che sia frustato!
Andiamo avanti. Dopo che Brooke ha risolto i suoi cazzi finanziari, abbiamo appena visto, è di nuovo al fianco di Caleb. Però… è vestita e rimane muta. No bueno, no bueno, questo significa che sta ancora facendo la sostenuta con il chaddone. Insomma, lei gli ha dato del ricco bastardo e, anche se poi ha ammesso a sé stessa di essere stata una stronza, è compito di Caleb rimediare alla situazione. Oh, oh, sapete, il nostro non è solo bello e ricco, è anche pensante: e, per l’appunto, ha elaborato un piano per sbrogliare la matassa. Naturalmente, essendo stato accusato di insensibilità nei confronti degli indigenti, la sua idea è di dimostrare a Brooke di essere un bravo lavora-uomo che fa un sacco di beneficenza e non ha paura di toccare i barboni.
Naaaaah, vi sto prendendo per il culo!
Regole d’ingaggio
Vi ricordate che, nel riassunto iniziale, ho menzionato un ingaggio? Ecco, il piano di Caleb per smentire le brutte opinioni di Brooke è di ingaggiare quest’ultima per ristrutturare il lussuoso attico in cui egli vive. Per farla breve, dopo essere stato rifiutato da Brooke perché ricco e insensibile, Caleb dimostra a Brooke che non è vero che è ricco e insensibile… pagandola.
Secondo me è una buona idea, in fondo i soldi sono come i complimenti sulle chiappe, piacciono sempre a tutti. Perciò, bravo Caleb, non ho proprio nulla da obiettare al tuo piano, vai così. Quello che un pochino mi lascia perplessa è l’ingaggio in sé. La ristrutturazione, già. In effetti, se Brooke avesse iniziato qualcosa con il buon Will, o se almeno fosse rimasta ostile e furiosa nei confronti di Caleb… mettiamola così: se Brooke fosse stata un osso duro da conquistare. Eh, e che ci fa? Be’, se Ricco sfondato ci avesse proposto un canovaccio simile, ecco che la ristrutturazione si sarebbe rivelata galeotta, un perfetto “device” letterario. Sì, perché, nella più classica delle tradizioni romantiche, il lavoretto avrebbe costretto i due protagonisti, volenti o nolenti, a trascorrere del tempo insieme, conoscendosi via via sempre meglio. E quindi, che cosa c’è che non va in questa benedetta ristrutturazione?
Be’, ma come abbiamo visto, Brooke ha già fatto un privato mea culpa, e quindi non è davvero ostile: la sua è solo una posa e, per quanto voglia tenere il muso, non potrà durare troppo a lungo. E infatti, a riprova di quanto dico, Brooke e Caleb finiscono a bombare ben prima che la ristrutturazione sia effettivamente messa in opera! A che cavolo serve quest’ultima, dunque?! A nulla, ovviamente, tant’è che proseguendo con i capitoli essa viene via via marginalizzata. Sia chiaro, talvolta la Miller si ricorda che Brooke doveva fare tipo qualcosa, e ci informa, quasi esattamente con queste parole, che Brooke “ci sta lavorando”. Poi però, la nostra autrice si lascia completamente cogliere dalla fregola e noi non scopriremo mai come cacchio è stato ristrutturato l’attico del chad.
Vi dirò, se Raine Miller fosse stata un pelo furba, avrebbe sfruttato la ristrutturazione almeno per costruire una sottotrama sulla rivalità fra Brooke e i suoi colleghi di lavoro. Eccerto, perché Brooke è caratterizzata come una designer inesperta (oh, lo ammette lei stessa), e addirittura scopriamo che, alla fine della fiera, del design non è che gliene freghi tutto ’sto granché…
Ancora non so perché abbia chiesto proprio di me. Perché non Jon o Carlisle? Ha un budget pazzesco, e io sono solo un designer alle prime esperienze.
«Brooke, non mi hai mai detto molto del tuo lavoro. Cos’è che ti ha ispirata a diventare un’arredatrice di interni?»
«Credo di aver solo seguito le orme di mia madre, almeno inizialmente.» […]
«Quindi, se potessi scegliere, cosa faresti?»
Rispose in fretta. «Vorrei essere come Marni Cole [una giardiniera conosciuta in passato da Brooke].»
È una noob e se ne fotte del lavoro: apperò, di sicuro saranno tutti contenti di sapere che lei è stata scelta per firmare la ristrutturazione della tana di Caleb, no? Soprattutto il collega designer Eduardo.
Ah-ah, beccati: se dal nome dal suono vagamente brasileiro, o comunque esotico, avete immaginato che Eduardo sia il solito gay stile checca da cinepanettone, che fa commenti maligni sulla protagonista e la intralcia, sappiate che dovete vergognarvi, avete preso una cantonata.
Cioè, sì, Eduardo è gay e stragay, deve lavorare sodo per vivere, e tra l’altro ha messo per primo gli occhi su Caleb. Potrebbe essere un antagonista secondario coi fiocchi, per la nostra Brooke, ma… Eduardo è una sorta di eunuco. D’accordo, Raine Miller non lo definisce così (i comprimari non hanno abbastanza charme per meritarsi una definizione precisa), tuttavia capiamo da vari elementi sparsi qua e là che è un senza palle. Ma quindi, se è un senza palle… ? Esatto, lettori, Eduardo compare nel romanzo non per ostacolare Brooke, bensì per… wow… per lodarla e per toglierle le castagne dal fuoco quando l’incompetenza della nostra eroina potrebbe rivelarsi eccessiva…
«Sei molto sexy oggi, mi condesa. Quegli stivali gridano “scopami finché non dico basta”, lo sai, sì?»
Eduardo era arrivato sabato mattina ed era rimasto con me fino a domenica pomeriggio, per aiutarmi a organizzare le nozze.
Il mercoledì, io e Eduardo lavorammo all’attico, prendendo le misure e finalizzando il progetto di massima.
Com’è ovvio, l’esplicito dettaglio che a Eduardo piaccia Caleb non serve ad altro scopo, se non quello di sottolineare per l’ennesima volta quanto il riccastro sia sexy e irresistibile, talmente figo che chiunque ci fa un pensierino su di lui, donne e uomini. Ma no, vi assicuro, lo “sfondato” del titolo non si concreterà mai veramente. E no, mai nemmeno per sbaglio a Eduardo gli rode il culo per aver visto scavalcata la propria professionalità da una novellina.
Maranzivo
Be’, be’, di roba nonsense ne abbiamo per le mani, che ne pensate? Non è finita, però. Lasciamo ora i poveri, gli episodi alla Home&GardenTV, Eduardo, e affrontiamo un altro gran bell’elemento cringe di Ricco sfondato: la giovinezza traumatica di Brooke.
Comincio col dire che introdurre nella trama riferimenti a un passato duro (eh, eh, eh) non è sbagliato. Serve a spiegare alcuni comportamenti insoliti di un personaggio e a complicare l’intreccio, rendendolo più avvincente e godibile. Un buon esempio di ciò è ancora Fabbricante di lacrime: Rigel, a causa delle sue cicatrici emotive, agisce in maniera strana e non riesce a costruire una relazione sana con la protagonista, ritardando considerevolmente la nascita della loro love story.
Invece, in Ricco sfondato…
Brooke ci spiega che è stata sposata con il già citato Marcus, un uomo violento che le ha fatto del male: rendetevi conto, era tanto abietto da tenere la nostra eroina in uno stato di sudditanza psicologica, sudditanza conclusasi solo con la morte di Marcus stesso. Per me, a questo punto le possibilità sono due: o Marcus era un palese maranza fin dal primo momento, oppure era un abile psicopatico, capace di manipolare e torturare il suo prossimo. La Miller deve aver pensato lo stesso, solo che non ha capito bene la funzione della congiunzione “o”:
E a proposito di Marcus Patten, a quanto pare aveva problemi nel gestire la rabbia, durante gli anni della specializzazione in Legge, e pure un problema con l’alcol. Ho trovato un’accusa a suo carico. Una rissa da bar si trasformò in un’aggressione brutale […]. Marcus lo aggredì con una bottiglia rotta rendendolo cieco dall’occhio sinistro. Pare proprio che fosse un figlio di puttana psicopatico e sadico.
Una sera, io e Zoe [ehi, mica quella Zoe?!], la mia amica e al tempo coinquilina, andammo in un bar, dove bevemmo un po’ troppa tequila. Marcus era lì, gli ero piaciuta e voleva stare con me. A ripensarci ora, son sicura che mise qualcosa nel mio bicchiere, perché non ho memoria di essere andata via con lui. Ero anche vergine. All’inizio fu molto premuroso e attento […]. Perciò, senza bene sapere come, mi ritrovai con quest’uomo che aveva sviluppato un’ossessione nei miei confronti, nell’arco di una sola notte. […] Mi mise incinta contro la mia volontà, e poi mi chiese di sposarlo. […] Marcus usava delle medicine per controllarmi e farmi fare ciò che voleva. Non so bene cosa fossero, ma rendevano più vivibile stare con un criminale sociopatico ed essere incinta di suo figlio.
Capito? Marcus era un piantagrane impulsivo, ma era anche uno psicopatico machiavellico, però non tanto bravo, perché doveva pure usare delle “medicine” (può darsi il Guttalax) per schiavizzare la nostra Brooke. Tutto regolare.
Ma porca puttana, perché, perché?! Se Marcus era solito andare per bar a spacare botilia e amazare familia, perché Brooke accetta la sua corte, perché non se ne scappa a gambe levate dopo aver avuto anche solo il sospetto di aver tracannato del GHB? Perché non ha cercato aiuto, dopo aver capito di essere incinta contro la sua volontà? Perché non ha provato a sostituire le droghe con qualcos’altro di innocuo, per prendere tempo? Perché cacchio non ha cercato di far secco quel bruto?! Ah, certo, che sciocca che sono: “senza bene sapere come”. E passa la paura.
Com’è, come non è, Brooke è un’ingenuotta, pare. Oh, può anche essere, e non è necessariamente un difetto, per il romanzo. La protagonista può avere mancanze e debolezze, anzi è meglio che ne abbia, soprattutto se si incontrano lungo il libro molti elogi della stessa. Quindi, brava Raine Miller, fare di Brooke una sempliciotta svampita… sarebbe stata una grande idea! Già, perché io ho tratteggiato la nostra eroina in quel modo, Ricco sfondato invece non lascia dubbi, Brooke è sexy, figona, e una drittona da manuale, una tipa bella sveglia. E sexy:
Era intelligente e sveglia.
«In realtà, il tuo cognome lo conosco, è Casterley.»
«Quindi è vero che mi stai pedinando!»
Sì, era davvero sveglia.
«Quindi tuo padre e Herman sono fratelli?» Si accigliò. «Credevo avesse solo un fratello.»
«Infatti. Mio padre, John William, o JW come lo chiamavano tutti, era il suo unico fratello di dieci anni più giovane.»
Vidi comparire un’espressione di pietà sul suo volto, doveva aver capito la connessione. Era una ragazza sveglia, lo sapevo.
«Hai davvero bisogno di ridecorare l’attico a Back Bay?»
Sì, era di certo molto, molto sveglia.
Mi sento tuttavia di dover spezzare una lancia in favore della Miller: essendo lei americana, sono convinta che le suddette “dimostrazioni” di arguzia le siano sembrate davvero eccellenti, roba da membri del MENSA (che poi, forse, questi ultimi non sono così intelligenti, se pagano una quota associativa per far parte di un club di intelligenti).
Sperminator
A questo punto, è abbastanza chiaro che la natura dello shock subito da Brooke non è affatto… uh… chiara. Ricco sfondato, però, fa di peggio con questa parte della trama.
D’accordo, non abbiamo granché capito perché la nostra protagonista ha vissuto quei brutti quarti d’ora, ma di sicuro essi hanno lasciato il segno. E sì, dai, Brooke dev’essere condizionata dal suo passato, ed è perfettamente comprensibile: dopo essere stata drogata, violentata, messa incinta e schiavizzata da un pazzoide, secondo me ci sta che una donna sia ipersensibile nei confronti di ogni imposizione, vera o presunta, proveniente dal sesso maschile. Anche i piccoli “ordini” a fin di bene, che non manifestano un tentativo di prevaricazione. In effetti, ci vuole molto, prima che una donna abusata smetta di proteggersi in modo iperaggressivo, ci vuole molto, prima che cominci a ricordarsi che non tutte le imposizioni e non tutti gli ordini sono maligni. “Prima che una donna”, non “prima che Brooke”.
Ehi, che quarzo, abbiamo appena visto che la Miller considera la sua protagonista una volpe, vi può proprio stupire che Brooke non sia una paranoica coi nervi a fior di pelle? Ed è proprio così, lettori, la nostra eroina è completamente a suo agio: nel peggiore dei casi, quando proprio proprio le girano, Brooke avanza qualche timida rimostranza, ma poi cede subito. La maggior parte delle volte, semplicemente considera adorabile il modo in cui Caleb la tiene sotto controllo. Ad esempio, c’è un momento in cui Caleb parte per Dubai: l’eroe comincia a preoccuparsi (non si sa bene per cosa), e chiede al fratello di tenere d’occhio Brooke. “Tenere d’occhio”, una brutta cosa per chi è stata praticamente segregata, ma, appunto, non per Brooke…
Chinai il capo da un lato guardandolo curiosa. «Per caso Caleb ti ha chiesto tenermi [sic] d’occhio in sua assenza?»
«Ehm…» temporeggiò, facendo guizzare gli occhi tra me e suo fratello. […]
Non appena fu salito, Caleb mi chiese: «Sei arrabbiata con me perché ho chiesto a Lucas di tenerti d’occhio?»
«A dire il vero, no. Mi ci devo solo abituare» gli risposi in tutta onestà. […] «È bello che tu sia così protettivo e premuroso nei miei confronti.»
Avete ragione, se è un chad a volerti tenere d’occhio, allora è sempre carino. E se il chad è ricco, allora è carinissimo.
Quello che vi ho proposto è un caso emblematico della (non) risposta al trauma da parte di Brooke, però non è l’unico, e non è nemmeno il peggiore. Vi ricordate dei preservativi bucati da Janice? Ecco, ovviamente Brooke rimane incinta di Caleb proprio a causa dei profilattici manomessi. Dico “ovviamente” perché, nonostante qui nel mondo reale puntare e sparare nei bandalloni di una donna non garantisca dopo nove mesi un bebè, nel mondo di Ricco sfondato basta una botta e zac!, sei inguaiata. Ora, “incinta”, “non programmato”, che vi fa venire in mente? Che avendo Brooke già subito un dramma simile, dovrebbe dar fuori di capoccia e suicidarsi o fare un massacro. Accidenti, il minimo che ci aspetteremmo facesse sarebbe di pensare ossessivamente all’aborto, magari arrivando quasi a compierlo lei stessa in uno scatto di follia. E appunto, dopo aver scoperto il fatto ed essere stata addirittura ferita da Janice, la nostra eroina si ritrova in ospedale e…
«Sono… sono incinta? Cioè, lo ero? Lo sono ancora?» Il suo volto si contorse in una smorfia di paura e iniziò a piangere.
«Dio mio, sì, lo sei. I medici dicono di circa sette settimane.»
Emise un sospiro lieve e ricominciò a piangere più forte. «Avevo così paura di non esserlo più, quando mi sono risvegliata.»
Una sensazione di puro sollievo, genuina e benedetta, mi avvolse, mentre mi chinavo su di lei, cingendola piano per non farle male. Vuole il nostro bambino.
Ma… ma Brooke accetta senza batter ciglio quel che le è successo, adora l’idea di essere madre senza averlo deciso! È entusiasta, ha un self control che io stessa me lo sogno! Raine Miller, che cazzo hai nel cervello, porcaccia lammerda, nessun personaggio realistico si comporterebbe mai così, che diavolo sto leggendo?!
Profil-attico
Sentite, la risposta non ce l’ho, però la situazione mi dà modo di spendere due parole a proposito di Janice.
Ah, Janice, Janice, Janice. Chi è? Be’, di lei non sappiamo molto. Sappiamo che è una modella, e immagino che ciò implichi sia un bell’esemplare di femmina. No, lettori, non sono passata a un gergo maschilista, intendo che deve’essere una bella femmina, solo non so di quale specie. Infatti, Janice sembra avere una strana anatomia, perché, stando alla descrizione che ne fa la Miller, la sua cassa toracica è al livello del basso ventre:
Janice si mise a farmi le fusa sul collo, strofinandomi le tette sul fianco.
A onor del vero Janice potrebbe avere un corpo ridotto e un collo lunghissimo, oppure è una modella, sì, ma over, e le sue “tette” strusciano sul pavimento quando cammina. Sapete, credo che sia una di queste due ipotesi: il collo molto lungo potrebbe talvolta impedire l’afflusso di sangue al cervello, e l’incipiente demenza senile potrebbe bloccare le funzioni cognitive. In entrambi i casi, avremmo una spiegazione delle azioni incredibilmente cretine di Janice.
Abbiamo poc’anzi esplorato l’esito del piano malvagio coi profilattici, e… non c’è che dire, bella mossa, tipa. Merita però riflettere anche sulla genesi e sull’attuazione del piano. Appena dopo essere stata lasciata da Caleb, come prima cosa Janice va nel bagno dell’eroe e fa un casino: caccia a terra tutto, butta gli asciugamani, gli caga sul pavimento… no, scusate, quella era Amber Heard… ehm, gli imbratta i muri con il rossetto e, dulcis in fundo, gli buca i dannati preservativi.
Lasciamo pure perdere il fatto che Caleb non si insospettisca del fatto che Janice stia trafficando da un bel po’ nel suo bagno: bene, ma cielo!, perché cavolo la pazza buca i profilattici? Cioè, cosa vuole ottenere? Bucare i preservativi è la tipica strategia di chi vuole incastrare il partner con una gravidanza: ma chi buca i profilattici è la stessa donna che intende restare incinta! Lettori, converrete con me che il tutto sarebbe stato credibile se Janice avesse sfoderato la sua espressione più affranta e avesse cercato di convincere Caleb a trascorrere un’ultima notte di sesso con lei, prima di lasciarsi definitivamente. Ma così come sta scritto in Ricco sfondato, che cosa ne viene in tasca alla nostra antagonista?! Appunto, vi assicuro che fino all’ultima pagina del romanzo, Janice non cercherà mai più di mettersi in contatto con Caleb: perciò, che si aspettava, che il tamarro ingravidasse e sposasse un’altra donna?
Ah, è impossibile a dirsi, perché nemmeno Janice lo sa. Quando sul finale confessa a Caleb di avergli bucato i preservativi, inizialmente sembra parecchio soddisfatta e gongolante, però poi scapoccia quando si rende conto che… uhm… Brooke è incinta? Guardate:
«So quello che hai fatto, brutta puttana!» disse Caleb.
«James mi ha raccontato dei profilattici che hai bucato, stronza! Credi davvero che mi importi se [Brooke] è rimasta incinta per colpa dei tuoi giochetti malvagi e perversi, Janice?»
Lei ghignò con un’espressione soddisfatta dipinta sul volto, perché sapeva che ero lì e che stavo sentendo tutto. […] Io rimasi in piedi, lì, annaspando in totale stato di shock. Ero immobile, gelata, con le emozioni che si scontravano violentemente con la logica di quello che avevo appena scoperto. Mi portai d’istinto le mani sulla pancia e sia Caleb sia Janice seguirono con lo sguardo il mio gesto. La verità apparve chiara e lampante a tutti e tre […].
Caleb mi guardò e divenne bianco come un fantasma. «Tu… tu sei incinta…»
«Noooooooo!» urlò Janice afferrando un bicchiere di champagne e fracassandolo contro il bancone del bar.
Muahmuahmuahmuah… ehi, aspetta… oh cazzo…
E se pensate che questo sia quanto, a proposito di Janice, be’, sappiate che non è finita qui, perché la nostra cattivona riesce addirittura a danneggiarsi direttamente. Vi racconto questa: subito dopo la rottura con Caleb, e intendo immediatamente dopo, Janice va da un amico del chaddone, gli fa un chinotto e nel mentre si scatta una foto, per poi inviarla a Caleb, con l’intento di farlo rosicare:
Il telefono mi vibrò nella tasca.
Wow, che bello, una foto! Da Janice. Di lei che succhiava quello che presumevo fosse il cazzo di James. Aveva anche aggiunto un messaggio: Ti pentirai di aver scopato con me, Caleb Blackstone.
Che idea, cacchio! Lasciare in mano al nemico le prove che potrebbero compromettere la sua immagine di sedotta e abbandonata: Raine, scusa, ma che, hai preso lezioni dal maestro del thriller? No, perché questo è il genere di cacca che mi aspetterei concepita da un pluriomicida pervertito sessuale alla Veltroni. No, non nel senso che lui è… nel senso che i suoi personaggi cattivi sono… vabbè, lasciamo perdere, è meglio.
Il durellone
Io so che adesso vi ronza in testa una domanda: abbiamo del gran nonsense in Ricco sfondato, è vero, però c’è poca carne al fuoco per essere un romanzo di circa duecentocinquanta pagine. Cioè, tolto il ricevimento, la ristrutturazione, il gay e le cavolate di Janice, cosa rimane alla trama? Uhm. Che nun c’arrivate, che ve sete rimbambiti? Ma ce sta er sesso, no? Ce sta ’na caterva de sesso.
Sì, d’accordo, in fin dei conti è un romanzo erotico, è persino un bene che ci siano le robette mezze porno. Però non è tanto un bene che queste robette mezze porno siano interamente cretine.
Lettori, sappiate che mi scappa da ridere proprio mentre scrivo queste parole: insomma, giusto per dire la prima che mi viene in mente, ma… ma Caleb! Cioè… ce l’ha sempre dritto! Oh, non riesce manco a dire una mezza frase a Brooke senza avercelo come minimo barzotto. Capisco che per un certo tipo di pubblico è eccitante leggere di un supermacho che vede il suo pisellino ostaggio del fascino di una sexy “ragazza della porta accanto”, però Raine Miller si è fatta prendere dall’orgasmo: qualunque, e dico qualunque!, cosa Brooke faccia, a Caleb gli viene il durellone. Brooke indossa un paio di stivali? Bing! Brooke dice una parolaccia? Bing! Brooke è presente? Bing! Brooke è assente? BING! Ditemi voi se non ho ragione…
Cristo, il mio cazzo si stava indurendo a guardare una bella ragazza che serviva del cibo […].
«Cazzo, fortuna che mi hai richiamata» disse.
La parola cazzo, con quell’accento… mmm!
Anche solo il lieve pensiero di lei ebbe un effetto sul mio cazzo dolorante. Il ricordo di come camminava mentre attraversava la strada, col giubbotto mimetico rosa e i pantaloni di pelle stretti, me lo fece diventare duro in pochi secondi.
[…] lei arrossì di nuovo.
Cazzo, quanto mi eccita.
Sì, era di certo molto, molto sveglia. E questo me lo faceva sempre venire duro.
Capisco che i chick-lit si sostengono sulla tensione erotica, sì, ma… anche meno, cioè, svaghiamoci un attimo, no? Dopotutto stiamo parlando di un figaccione miliardario che ha passato i trenta, uno che da minimo vent’anni consuma una modella diversa per notte… non è mica il quindicenne verginello un po’ nerd che guarda le cheerleader (o la premiazione dello Strega, con Geppi Cucciari)! È impossibile credere che uno come Caleb passi le giornate a scorticarsi il bischero, eddai.
Uff, e d’accordo, prendiamo atto che la Miller non ha mai visto un uomo e che ha pertanto dovuto basarsi sulla pura fantasia; andiamo avanti. Il sesso in Ricco sfondato, ovviamente, non si limita a quello (in senso letterale) del solo Caleb. Ci sono gli amplessi, oh sì. Ebbene, io credo che ci siano essenzialmente due modi per scrivere una scena erotica ridicola. Avete capito, “ridicola”.
Un modo è quello che definisco “anatomico”: in sostanza, l’autore descrive ogni particolare, precisando i movimenti del pene, le contrazioni delle pareti vaginali, l’inturgidirsi dei capezzoli, il proliferare delle comunità batteriche nel muco cervicale, e così via. L’effetto, neanche a dirlo, è simile a quello ottenuto da Francesco Carofiglio quando specifica che i suoi personaggi mangiano i cioccolatini mettendoseli in bocca (e non nel sedere, suppongo).
L’altro modo è quello in cui l’autore tenta di fare il (o “la”) poeta, paragonando la vulva a un fiore, il pene a un trapano, e la gocciolina di liquido preseminale alla rugiada, o cose di questo genere.
In linea di massima, gli autori si attengono alla mia dicotomia.
Ora, quando Raine Miller si è domandata con quale tipo di tecnica erotica farci assaporare il puro cringe, si è risposta: “sì”. E poi ha pensato che sarebbe stato davvero fico se ci avesse aggiunto anche un frego di parolacce. Ed ecco… questo:
Brooke sarebbe stata bellissima con il mio cazzo sprofondato dentro di lei.
Gridai il suo nome quando sentii lo sperma partire dalle mie palle e schizzare fuori dalla punta dolente.
Occhi sensuali, su cui fantasticavo ogni notte, da solo a letto. Come sarebbe stato averli incollati ai miei con il cazzo impalato fino alle palle dentro di lei? Spettacolare.
Mi lasciai cadere dal precipizio, tuffandomi in un glorioso fiume di piacere, mentre Caleb mi colmava del suo nettare paradisiaco, con pompate frementi.
Se l’ultima cosa che i miei occhi avessero visto fossero state le sue splendide tette che rimbalzavano mentre cavalcava il mio uccello, sarei stato l’uomo cieco più felice del pianeta […]. Gliele presi, una per mano, e le pizzicai i capezzoli solo per sentire i gemiti di piacere che sapevo avrebbe emesso in tutta risposta, lei strinse i muscoli intorno al cazzo, e sentii arrivare un’ondata di piacere […].
Brooke in ginocchio, con le labbra avvolte intorno al mio cazzo […] Le guidai la testa, mentre prendeva tutto il mio uccello fino in fondo. Mi afferrò le palle e iniziò a ruotarle in una mano, mentre sentivo che tutto stava esplodendo […]. Se lo infilò ancora più in gola e inghiottì ogni goccia del mio sperma fino a prosciugarmi.
[…][Brooke] emanava odore di sesso, col mio cazzo che la trapanava, dentro e fuori la sua fica stretta.
Colleghe donne, stimate autrici: ma che vi fa di metterci tutta ’sta zozzaggine de linguaggio demmerda? Porca puttana, sfogliando Ricco sfondato sembra di leggere un hentai di quelli con i tentacoli, i plug anali, i giapponesi e un sacco di altre cose schifose!
Ma, lettori, state bboni, perché la vera ciliegina sulla torta sono gli scambi di battute fra Caleb e Brooke mentre lo fanno. MENTRE LO FANNO. Sì, avete capito bene: parlano.
Per quel che ne so io, solitamente durante il sesso non è che si parli un granché, semmai si mugola, si geme, si ansima, al massimo, ma proprio al massimo eh, si danno indicazioni (“più veloce”, “fai piano”, “prova così”…) o si dicono bestialità per eccitarsi. Insomma… eh. È roba che sappiamo, non è il caso di trascrivere i vari “mmmh”, “ooooh”, “aaaaah” e compagnia bella, no? No! NO! Raine Miller non è per niente d’accordo con me, e ritiene anzi che i vari sfiati vadano assolutamente riportati per intero, insieme a linee di dialogo assolutamente credibili:
[…] con un colpo deciso, sprofondò dentro di me, fino in fondo.
«Cazzooo!»
«Ahhh!»
«Godi, dai. Godi con me, Brooke. Voglio… venire… insieme a te» mi supplicò in modo disperato, quasi selvaggio.
«Sì… eccoooo.»
«Di’ il mio nome quando vieni. Voglio sentirlo.» […]
«Caaaaleb.»
Tolsi le mani dai suoi capelli e afferrai i miei, tirandoli così tanto da sentire bruciore. «Cazzooooo…!» Gettai la testa all’indietro, quando venni.
Spero che AAAAAAAAHbbiate visto il combattimento finale del film Undefeatable, perché Brooke e Caleb, quando fanno zicchezacche, si urlano addosso proprio come Stingray e quel poliziotto cosparso d’olio che non mi ricordo come si chiama.
È tonico e mascolino, oh yeah!
Vabbè, concludiamo con una breve nota sullo stile… non ce la faccio, mi scappa da ridere! Allora, dai, seri: lo stile non è il punto forte dei chick-lit, e va benissimo, perché (se ricordate quel che ho affermato nell’introduzione) sono pensati per rilassare e far staccare la spina del cervello. Uno stile sostenuto non lo vogliamo sempre, oh! Bene, però la nostra autrice va oltre la forma terra terra: Caleb e Brooke hanno un vocabolario ridottissimo, talmente ridotto che imbarazzerebbe perfino un bonobo. Conoscono in tutto due parole. Una a testa, intendo. Quella assegnata a Brooke è “mascolino”:
[…] prima di abbassare il suo corpo mascolino […].
[…] l’odore del profumo che indossava, speziato e mascolino […].
[…] quella fragranza sexy e mascolina.
[…] scolpendo una V perfetta e mascolina […].
[…] con la sua carne tesa e mascolina […].
Inalai il suo profumo speziato e mascolino […].
La sua fragranza mascolina […].
Caleb, invece, s’è dovuto sbattere per imparare la parola… ah, lol, ma che ve lo dico a fare?
Cazzo, sei proprio un coglione […].
Che cazzo di serata.
Ma dove cazzo erano le donne normali?
La sua voce… cazzo che voce!
Cristo, il mio cazzo si stava indurendo […].
Ma che cazzo fai […]?
Cazzi suoi […]!
Ma che cazzo ti è venuto in mente […]? Hai fatto un’enorme cazzata […].
Cazzooooo…!
Basta così, ne ho le palle piene (e non avendo le palle, è notevole).
In conclusione… uhm… in conclusione. Dai, non posso nascondermi dietro un dito, Ricco sfondato è stupido, cringe, insensato, cretino, scritto di merda, volgare, sessualizzato, patriarcale, femminista, sporco, pieno di malattie sessualmente trasmissibili, scandaloso, materialista, superficiale, tamarro, salviniano, e la mia copia aveva delle ditate. Perciò è fantastico. Sul serio, è da morire dal ridere. No, non farò l’intellettualoide, non farò la tipa che si straccia le vesti e ha bisogno di pannolini per gli occhi perché ha letto Come d’aria: Ricco sfondato ha soddisfatto del tutto le mie esigenze. Il suo essere sfacciato e menefreghista, oltre che involontariamente demenziale, mi ha davvero regalato dei momenti piacevoli. Certo, non ho imparato niente, ma almeno mi sono sentita spensierata e non mi ha fatto male riflettere sul fatto che un libro simile sia stato dato alle stampe: meno male, meno male che è stato pubblicato, perché la letteratura che rappresenta non è una letteratura da disprezzare. È una letteratura che concreta i nostri istinti primitivi, le nostre pulsioni profonde e i nostri bisogni animali: e va benissimo, perché possiamo fare i filosofi fin che vogliamo, ma rimaniamo sempre animali, ed è bene ricordarlo di tanto in tanto. Ed è bene accettarlo. Embè, in definitiva, Ricco sfondato è un libro Jerry Calà, ecco! Non è bello… piace! E dunque, se capita anche a voi di aver bisogno di risate, di libidine, di doppia libidine e di libidine coi fiocchi, be’, fateci un pensierino a cuor leggero. E, ovviamente, fate una buona lettura!