Piani inclinati – Eleonora Carta
«Linda, a cosa ti serve tutta questa libertà? Questa pretesa di equilibrio? Non ti salveranno. Viviamo su un piano inclinato io e te, da sempre. Tutti i nostri sforzi, alla fine saranno vani. Siamo destinati a cadere. A continuare a cadere, per sempre.»
Uno strano sodalizio
Il pesciolino d’argento ha già apprezzato Eleonora Carta nelle vesti di saggista, con il libro Breve storia della letteratura gialla: ora, con il thriller psicologico Piani inclinati, è giunto il momento di vedere all’opera la teoria.
Il romanzo è ambientato in una Sardegna molto suggestiva, diversa dal luogo dalle bianche spiagge, popolate da turisti molesti che ostentano la propria ricchezza in discoteche rumorose e pacchiane:
C’era un contrasto di fondo in tutta quella mondanità, in quello sfarzo garbato per non sconfinare nel kitsch, nel concetto stesso di lifestyle, bella parola composta per dire “noi ti insegniamo come si vive”. In altri contesti sarebbe stato diverso. Ma lì su quell’isola, quelle oasi di lusso erano come satelliti, come mondi a parte. E tutto intorno campagne secche per la mancanza di pioggia, colline brulle punteggiate di greggi e ovili raffazzonati, paesi di poche centinaia di anime dove non arrivava l’ADSL […].
È proprio fra le “colline brulle” e i monti impervi che viene alla luce il corpo senza vita di Niccolò Solinas, un bambino di sette anni. A trovare il cadavere è Daniele Fois, esperto forestale che si muove fra rocce e boschi con l’abilità di un animale selvatico: Daniele è un uomo riservato, solitario, generoso e di buon cuore, ma alla vista della povera vittima giura vendetta e, volendo giustizia ad ogni costo, insiste per essere coinvolto nelle indagini dei carabinieri.
Fra Daniele e Linda De Falco, maggiore dei ROS giunta da Roma per risolvere il caso, si crea uno strano sodalizio: lui è rude e rustico, lei è raffinata, elegante e bellissima. Sì, però non sono poi così diversi, entrambi sono arguti e tragicamente chiusi nella propria solitudine, ed entrambi sono determinati a risolvere al più presto il delitto, soprattutto quando spariscono altri due bambini, ancora di sette anni…
Dietro le apparenze
Daniele e Linda non sono dei semplici espedienti dell’autrice per risolvere un caso particolarmente enigmatico: a differenza di quanto accade nei gialli deduttivi, in questo thriller è lasciato largo spazio all’approfondimento psicologico, all’analisi delle emozioni e dei pensieri dei due protagonisti, di Linda in particolar modo.
In principio, Linda è presentata come una donna algida e austera, che deve spesso essere più autoritaria e più dura del necessario per farsi rispettare in un ambiente fatto di soli uomini. La prima impressione del lettore non è certo di simpatia nei suoi confronti, anzi:
Linda passò dal gate. In molti di voltarono a guardarla. Fresca, vestita di lino chiaro. Guardava dritta avanti a sé, procedeva decisa, su tacchi molto alti. Puntò subito l’uomo che reggeva il cartello con il suo cognome.
«Ho imbarcato un bagaglio. Lo fa ritirare lei?»
L’uomo la guardò perplesso.
«Sì. Aspettava me. Sono il maggiore Linda De Falco. Ora potremmo andare? Avrei urgenza.»
Ad attenderla in auto non c’era nessuno. Le sembrò un atto poco cortese, ma era di gran lunga meglio esser sola, piuttosto che costretta ad ascoltare un perfetto estraneo per tutta la durata del viaggio, senza speranza di potergli sfuggire.
Proseguendo con la lettura, si scopre però che tanta freddezza è dettata dalla necessità di custodire e reprimere un dolore terribile e profondo, incastonato nel passato di Linda: dietro la glaciale coltre di austerità, si cela infatti un animo semplice ed estremamente sensibile…
E aveva paura [Linda] di parlare con quella donna [la madre di Niccolò Solinas], paura si creasse empatia o che non se ne creasse affatto, paura di scavare in un dolore e scoprirlo tanto diverso dal suo, paura di compatirla, e compatire se stessa. Di non sapere contenere quell’emotività che tanto a lungo aveva addomesticato per adeguarsi alla necessità di ricominciare a vivere e continuare a essere una professionista seria e rispettabile.
Schema sovvertito
Di tutto questo sembra essere perfettamente consapevole anche un altro personaggio… proprio colui che ha rapito i due bambini e ucciso il piccolo Niccolò. Senza svelarvi troppo la trama, fra Linda e il criminale, un intelligente manipolatore, si instaura presto uno strano rapporto di reciproca attrazione. Linda, in apparenza forte ma in realtà estremamente fragile, si mostra vulnerabile alle parole di un uomo che sembra conoscere e condividere il suo dolore:
«Linda, Linda. Così rovini tutto… Non puoi essere arrivata fino a questo punto solo per farmi la morale…»
«Sto solo cercando di dirti che capisco. Il vuoto… quel vuoto. Lo conosco anch’io. So a quale tipo di pensieri è in grado di condurre. Distruttivi, e autodistruttivi. Un senso di sconfitta così privo di… alternative. O di speranza di redenzione. […]»
Eleonora Carta sovverte abilmente lo schema tipico del giallo: è infatti il criminale a cacciare il detective e non viceversa, in un climax di tensione psicologica. Proprio perché la relazione che si impone fra i due personaggi è originale ed intrigante, sarebbe stata una mossa vincente renderla più graduale rallentando leggermente il ritmo narrativo nella seconda parte del romanzo. Quest’ultima appare infatti piuttosto rapida, in alcuni punti perfino un po’ precipitosa: è difficile trattenersi dal fare un confronto con la prima parte, più introspettiva e descrittiva. Se da un lato l’accelerazione trasmette indubbiamente una bella scarica di adrenalina al lettore, dall’altro essa dà in qualche modo l’impressione di consumare con fretta e voracità un piatto delizioso che si è aspettato a lungo. E ciò lascia il lettore con un certo languorino…
Un personaggio sullo sfondo
A proposito di personaggi, fra gli altri ce n’è uno che rimane sempre sullo sfondo, e che tuttavia dà un taglio quasi sociologico al romanzo: è il popolo sardo, una comunità chiusa e ostile al forestiero, i cui membri sono legati fra loro da una primigenia lealtà. Ecco cosa dice Daniele a Linda a proposito dei propri conterranei:
«La giustizia dello stato non è ben vista da queste parti. Alla base del loro modo di vedere le cose c’è un’esasperazione del concetto di lealtà. Lealtà con l’amico e con il nemico. Parlare con i carabinieri è delazione. È violazione di questo patto di lealtà. È permettere a un estraneo di entrare in vicende che sono proprie della comunità.»
[…]
«Quindi qualcuno si sta occupando della scomparsa dei bambini.»
«Non credo. Ma le ingerenze esterne sono sempre poco gradite. A su nemicu parare, a sa zustiscia fughire.»
Guarda tu stesso
È lodevole il modo in cui l’autrice fa emergere il carattere e la personalità dei propri personaggi all’interno della trama: grazie a un uso equilibrato dello show don’t tell, questi si rivelano attraverso i gesti, gli sguardi e le movenze, lasciando al lettore la possibilità di trarre le proprie conclusioni ben prima che intervenga il narratore a raccontare i personaggi in gioco. Conseguono a questa scelta narrativa scene vivide e fortemente espressive, che in effetti non necessitano di ulteriori parole.
Consideriamo come esempio una delle prime scene d’azione di Linda. Semplicemente dalla descrizione di ciò che accade, riusciamo già a indovinare con precisione la personalità indomita e quasi marziale della nostra protagonista:
L’aereo atterrò in orario. Non aspettò che si aprissero le porte per riaccendere il cellulare e slacciare la cintura di sicurezza. Si alzò. Alla hostess che stava per chiederle di risedersi, ordinò di prelevare il suo bagaglio dalla cappelliera. Quella non osò contraddirla. Così scese per prima, altera. Senza un sorriso per nessuno.
Altro esempio di un brano breve, eppure senz’altro eloquente, è il racconto dell’arrivo al funerale di Niccolò del trevigiano Marchioro, il comandante della caserma di Tempio, brano in cui emerge tutta la tacita ma tangibile ostilità dei sardi verso lo straniero:
Si spostò, tra la porta e l’acquasantiera, dove masse di aria fredda e calda sembravano scontrarsi di continuo, e da lì si dispose ad ascoltare la funzione. In molti, entrando, lo videro, ma furono in pochi a salutarlo. Nessuno gli sorrise, ma a questo era abituato.
Conclusioni
L’estrema cura per i dettagli rende i personaggi vivi e plastici, così come vivo è l’ambiente in cui si muovono. La Sardegna evocata, primitiva e inviolabile, tanto magnetica nel suo ermetismo, si palesa vera silenziosa protagonista di questo thriller dall’atmosfera magica e irrazionale.
E dunque, se vorrete farvi catturare da questa atmosfera e dalla prosa di Eleonora Carta, io qui vi auguro una buona lettura!