Nel buio della casa – Fiore Manni & Michele Monteleone

Ti piace? Condividilo!
IL GIUDIZIO:

nel buio della casa romanzo di fiore manni e michele monteleone edito da sperling e kupfer

Questo, mia cara, è perché io non ho un briciolo di cervello.

Ho colto un Fiore per voi

Non so che fate voi, ma io ormai guardo la televisione solo per prendere sonno. I miei canali preferiti sono quelli di televendite (che l’antennista voleva saltare perché “inutili e noiosi”: pazzo!), specie quando le televendite sono presentate dalla bravissima, bonissima, rilassantissima e ancora bonissima Francesca Lukasik. Come chi è? Fotomodella internazionale, playmate… è stata anche concorrente de La pupa e il secchione, in cui interpretava il ruolo della pupa. “Interpretava”, esatto: perché nella realtà pare che sia un’autentica secchiona testa d’uovo, supercompetente in vari campi (dalla compravendita di immobili all’armocromia) e pure timidina, gentile e socialmente fobica come un vero nerd che si rispetti. E le sue televendite mi piacciono da morire perché è calma, calma, calma… yawn… ehm, ehm, sono sveglia.

Però, ahimè, talvolta non si fa viva, anzi è sempre in vacanza (come Hermes di Futurama)… cacchio. Quando succede, mi tocca ripiegare. E, se mi va bene, ho un bel rimpiazzo che mi scaraventa fra le braccia di Morfeo. Il programma in questione non è una televendita, ma è un altro “inutile” della tivvù: un programma per bambini. Si intitola Camilla Store ed è presentato dalla bravissima e bonissima Camilla. Nah, in verità Camilla non fa un tubo, è semplicemente una gatta, che tra l’altro compare solo in una manciata di episodi. Chi fa tutto è Fiore Manni, anche lei comunque bravissima e bonissima. Il format è semplice: c’è qualche moccioso che vuole dei vestiti e Fiore glieli cuce, dicendo nel frattempo delle cose di qualche tipo. Niente di che, ma Fiore è così calma e rilassante…

Oddio, è un programma di Super!, e siccome tutti gli altri che il canale manda in onda sembrano avere dei messaggi subliminali o essere parte di un’agenda (da Miraculous, che insegna a sfruttare il prossimo e a rubare le canzoni, a I Casagrande, che annoiano con episodi moraleggianti a tema “inoffensive minoranze cool” o “lgbtq+”), mi sa tanto che guardando Fiore mi becco un treno di sottili suggestioni che poi si sedimentano nel mio sonno. Uh, ora che ci penso, forse, in quell’episodio speciale giapponese, la mia beniamina non stava proprio parlando di cibo quando affermava sorniona che lei le crêpe se le mangia “sia dolci sia salate”. E mi sa che pure l’aver visitato prima un butler café e poi un maid café aveva un significato nascosto…
Ehi, Camilla Store ha un lato oscuro? Fiore ha un lato oscuro? Chi se ne fotte, mi piace lo stesso.
E mi piace anche dopo aver scoperto che davvero Fiore ha un lato oscuro. No, non fraintendete: è che ha scritto un horror. Eggià. Cioè, solo perché ha fatto un programma per bambini non vuol dire che non possa immaginarsi una bella storia truculenta e spaventosa, no?

Per l’appunto, la dolce presentatrice ha dato alle stampe Nel buio della casa. ’Mazza che tosto. È vero, non ha fatto tutto da sola, l’ha aiutata il marito, un tizio di nome Michele Monteleone. Va be’, dai, ci sta un tocco maschile in un horror, soprattutto perché Fiore è così tenera e delicata… approvo.
E quindi… uhm… cioè non voglio dire che… se mi è piaciuto… eh, se mi è piaciuto… allora, ci sono dei momenti… sicuro, insomma, è chiaro che… oh, basta, non ce la faccio! Fiore, che cazzo m’hai combinato, che cazzo t’è saltato in mente? Questo tuo romanzo è una veltronata, è sbagliato sotto ogni punto di vista, è… è spaventoso, davvero. Purtroppo per te, ’naggia a ******!, è spaventoso per i motivi sbagliati! Io, guarda… cioè… è tutta colpa di tuo marito, vero? Sì, dev’essere così, mi rifiuto di credere che sia colpa tua. La mia dolce Fiore non può essere un Veltroni, non può, sigh, sob!
Oh, lettori, scusatemi, l’emozione mi ha rapita. Avete ragione, volete sapere qualcosina, ma giusto per farvi un’idea anche voi. Vi accontento subito. Vi accontento cominciando a riassumervi il tramone, e l’assonanza con “trimone”, vedrete poi da voi, non è affatto casuale.

Allora, è il 2015 e Allison e Noah lasciano Boston, insieme al figlioletto Michael, per trasferirsi in una casa in campagna recentemente ristrutturata. Ehi, fantastico, mi state già mandando gli accidenti, perché vi sto prendendo in giro proponendovi un chick-lit del menga. Cioè, è lì da vedere: “Allison”, “Noah”, la casina in campagna… Boston… BOSTON! Eppure no, credetemi, Nel buio della casa comincia proprio così. Come un chik-lit. Oh no, no, un altro chik-lit splatter, credevo che quello di Marina Di Guardo fosse l’unico. E credevo bene, perché questo di Fiore lo surclassa ampiamente.
Vabbé, torniamo a noi. Dopo poco tempo, Allison si accorge che la casina carina carina è già occupata: sì, da una figura oscura, apparentemente un uomo, sempre minacciosa. Non manca infatti occasione in cui quest’entità intimi alla nostra protagonista di andarsene via. Com’è logico, Allison mette Noah al corrente della grana, e il prode… spernacchia la moglie dando la colpa di tutto allo stress del trasloco. Probabilmente rincuorata dal sapere che il marito la vede come una donnicciola isterica e fastidiosa, Allison prende a sbattersene dello spettro e dei suoi avvertimenti. Leggermente incazzatino, il fantasma decide di provare qualcosa di più incisivo: eccallà, succede un terribile patatrac, Allison ci lascia e per di più la casa va a fuoco. Come la prende il buon Noah? Be’, ma scusate, fa ciò che tutti farebbero dopo aver subito una tragedia simile, no?
Diventa un personaggio interpretato da Bill Pullman in un famoso film sui fantasmi: viaggia in lungo e in largo per gli Stati Uniti con lo scopo di liberare dagli spettri le abitazioni infestate. Calma, calma, c’è della follia in questa logica: è che, dopo i tragici fatti avvenuti nella sua proprietà (di cui suppongo continuerà a pagare il mutuo in eterno), il buon Noah ha scoperto che i fantasmi sono attirati dalle case che hanno un particolare sigillo al loro interno, sigillo posto da un uomo misterioso, “l’Architetto”…

Guagliò, bell stu spoiler

Come, come, come? Ce l’avete con me? Ah, è perché ho spoilerato la morte della protagonista. Cosa mi è saltato in mente, ve’? Non si spoilera MAI la morte di un protagonista, è da stronzi. Sono d’accordissimo, solo che, se proprio volete dare dello “stronzo” a qualcuno, datelo a Fiore e a Michele. Anzi, no, solo a Michele, è sicuramente tutta colpa sua, Fiore è troppo pura e troppo bona per aver fottuto il suo stesso romanzo! È tutta colpa di quell’altro, sigh, sob!
Ebbene sì, lettori, sembra pazzesco, ma in Nel buio della casa lo spoiler è un elemento fondamentale della trama, e non mi riferisco soltanto alla dipartita di Allison. Fin dall’incipit, infatti, i nostri superautori si premurano di sottolineare che la casa ha un vago sentore di qualcosa che non va:

La casa era imponente, ma c’era qualcosa in quella struttura così solida che turbava e rassicurava Allison al tempo stesso. Forse erano le cornici delle finestre a farle venire un leggero pizzicore alla nuca: erano di legno scuro, quasi nero, e donavano alla casa uno sguardo inquietante, quasi umano.

Praticamente, il Manni&Monteleone pensiero considera un’ottima idea mostrare già dai titoli di testa che Bruce Willis è un fantasma. Cioè… non so, forse… “occhei”? Io non l’ho mai sentita ’sta roba, e così a occhio non mi… pare… che… funzioni… però, oh!, si vede che non sono aggiornata! No, perché sempre il primo capitolo, di suo lungo giusto un paio di pagine, non lascia nulla all’immaginazione, e termina con sostanzialmente un “up next nel romanzo di Fiore”:

Mesi dopo, mentre si dissanguava sul parquet del suo studio, Allison avrebbe ripensato a quanto era stata sciocca a credere che una mano di vernice avrebbe potuto contenere l’oscurità imprigionata tra le mura della sua nuova casa.

Vabbuò, momento serietà. Credo che i nostri due autori volessero inserire una raffinata prolessi sulla scia di Cent’anni di solitudine, solo che… la prolessi è una cosa, lo spoiler è un’altra. Mi sa non conoscendo bene la differenza, Manni&Monteleone hanno deciso di scrivere un qualcosa sperando di sfangarla, affidandosi al puro culo. Purtroppo, lo scultoreo popò di Fiore (sì, c’è una punta di invidia) non è bastato. Eccallà lo spoilerone, e l’inevitabile assassinio della suspense (perché, certo, la prolessi acuisce la suspense, mentre lo spoiler la distrugge)!
Ah, lettori, il segreto è nella compatibilità fra la situazione iniziale e la situazione che si intende sviluppare nel seguito. Un esempio cretino: se vi dicessi che Tizio è un bambino studioso e diligente, e poi vi anticipassi che entro una settimana prenderà un’insufficienza all’interrogazione, vi presenterei due situazioni fra loro apparentemente contraddittorie. Già, se Tizio studia sempre, com’è che si becca un’insufficienza?
Siccome siete intelligenti, capite da voi che in tal caso l’anticipazione non rovina la sorpresa, anzi attizza la curiosità, spinge a seguire con attenzione la storia per capire che cosa potrà mai andare storto, perché diavolo ci sarà un deragliamento dai binari della prevedibilità. Ah-ah, la mia sciocca anticipazione era una prolessi. Ecco, per quel che riguarda Nel buio della casa, abbiamo appunto un spoiler, perché Fiore e consorte ci informano subito sull’aura sinistra della casetta: e se già abbiamo stabilito che qualcosa non quadra, le nostre aspettative virano in automatico sul tetro. Succederà qualcosa di brutto prima o poi, ce lo sentiamo. Quando poi il romanzo ci conferma che Allison sarà gravemente ferita, eh… appunto ci dà una conferma! Non siamo sbigottiti, non siamo interdetti, non c’è nessuna contraddizione: era una cosa che poteva capitare, l’avevamo previsto. Non siamo più curiosi di capire, di verificare. E se non siamo più curiosi, perché mai dovremmo continuare a voltare pagina?

Non è tutto.
Se lo spoilerone che abbiamo analizzato quantomeno ci lascia il minimo dubbio che Allison possa sopravvivere (dici dubbio, dici curiosità), il secondo capitolo ce lo toglie definitivamente: ambientato nel 2019, quattro anni dopo il trasloco, ci presenta infatti Allison nelle vesti di… uff… di Bruce Willis! Proprio di Bruce Willis de Il sesto senso:

Quando una luce accecante penetrò il velo sottile delle palpebre chiuse, Noah seppe che era andato tutto bene e che lei era ancora lì con lui.
«Sei vivo?»
Una voce di donna.
La voce di Allison. […]
Noah aprì gli occhi. Sopra di lui fluttuava lo spirito bianco di Allison, i capelli lunghi e senza peso si arricciavano nell’aria come volute di fumo.

Anzi, “Il sesto senso incontra Casper”. Lo “spirito bianco”?! Per carità, lasciamo stare per ora. Insomma, dopo appena una manciata di pagine, il romanzo ci ha fatto la lista completa di ciò che contiene: la casa è infestata, Allison muore, Allison “ritorna”. Questa storia degli spoiler, capite, è già di suo molto grave, ma è ancor più grave se si tiene in conto che Nel buio della casa è un cacchio di horror! Fiore, so che tuo marito è l’unico e il solo colpevole, però potevi farti valere un pochino, no? Potevi dirgli che l’horror è il genere che assolutamente necessita della suspense, dell’ignoto e dei colpi di scena!

Sia chiaro, non sto dicendo che in un horror sia a prescindere una cattiva idea intrecciare due linee temporali diverse (e infatti… uh… ci hanno già pensato gli sceneggiatori del film Oculus – Il riflesso del male?!), però se l’idea è quella bisogna costruire un’impalcatura adeguata a sorreggerla.
Consideriamo proprio Oculus. Anche nel film si parla di una casa infestata; e la causa dei guai non è un sigillo, bensì uno specchio maledetto. Insomma, per chi non l’avesse visto, lo specchio cattivo induce un uomo e sua moglie a tentare di uccidere la prole. I bambini, tuttavia, riescono a salvarsi, e, una volta adulti, cercano di far luce sugli eventi traumatici del loro passato, progettando una resa dei conti con lo specchio.
Ora, Oculus non si apre con la linea temporale del passato, come invece succede in Nel buio della casa, l’incipit è nel presente, con i figli della coppia adulti e salvi. Presentando come principale la linea del presente, l’alternanza fra le linee temporali non avviene grazie alle prolessi (che rischiano di diventare fastidiosi spoiler), bensì grazie alle analessi (che conoscete meglio come “flashback”): con quale risultato? Eh, be’, i flashback ci forniscono informazioni cruciali, però senza permetterci di indovinare come si risolverà il presente dei protagonisti.
Inoltre, è importante notare chi muore nella linea temporale del passato. Non i figli, che appunto sono i protagonisti: i genitori, che sono degli antagonisti secondari (il vero antagonista è lo specchio).

Tutto, molto bello, ma che ce ne facciamo? Be’, con questa cornucopia di osservazioni, possiamo almeno intuire quale canovaccio avrebbe reso Nel buio della casa un romanzetto almeno decente: Fiore avrebbe fatto meglio a iniziare con il filone narrativo ambientato nel 2019, alternandolo con mirati flashback del 2015. Così avremmo capito perché è successo ciò che è successo, senza poter prevedere cosa succederà…

Il Senza Senso

Ehi!, comunque plaudo al fatto che in due striminziti capitoli il romanzo è già un colossale casino. Ed è proprio un niente, una bazzecola, una minchiatina! Gli spoiler sono un neo della trama, vero. UN neo! La trama è, non la faccia, addirittura il culo di Bruno Vespa! E questo perché la faccia l’ho vista, ho contato i nei, e sono sempre meno di quelli di Nel buio della casa!
Dunque. Tanto per dirne una, non si capisce perché il fantasma brontolone si manifesta solo ad Allison, e non… che ne so, a Noah o… o a Maggie, la madre di Allison, che pure più di una volta trascorre le giornate insieme alla figlia. Può sembrarvi una questione da poco, ma in realtà è un dettaglio di enorme importanza, poiché imprime una direzione alla storia. Lasciate che mi spieghi. In genere negli horror i fantasmi tormentano un personaggio perché proprio da quello vogliono qualcosa. Ne La madre (cito un sacco di film… vabbè), per esempio, la donna spettro tormenta Annabel affinché restituisca le bambine a cui si è legata. Ne Il mai nato, uno spirito maligno ossessionato dai gemelli perseguita la protagonista Casey proprio perché incinta di due gemelli.

Bene, la scelta del tormentato è un elemento che si incastona in un quadro più complesso, e che ha un ruolo chiave nella soluzione (totale o parziale) del mistero centrale. “Okki dokki lokki!” deve aver pensato Fiore, e infatti Nel buio della casa c’è Allison che se la vede brutta perché sì, punto. L’unica spiegazione che il magico duo prova a dare è questa:

Ormai [Allison] lo aveva capito… sapeva che il fantasma diventava più forte quando lei si indeboliva, quando si sentiva sola…

Boja!, tutto risolto. Se non fosse che è una spiegazione di merda! E non solo perché questa storia della “forza del fantasma” mi sa tanto di giapponesata con i livelli di combattimento e via dicendo, ma pure perché, quando il fantasma compare per la prima volta, Allison non è né debole né spaventata! Anzi, è entusiasta della sua nuova casa e si sente piena di… uhm… “energie”…

«Casa nostra», sussurrò Allison.
Noah la strinse di più. […]
Allison rise sommessamente poi si allungò per baciarlo [a Noah].
«Sai cosa dobbiamo fare adesso?»
«Una doccia?» […]
«Anche. Ma prima di tutto dovremmo approfittare dell’assenza di Michael per battezzare casa. Mia madre ha detto che saranno qui domani mattina… il che vuol dire che potremo essere genitori liberi ancora solo per poche ore.»
Allison guardò il marito sorridendo allusiva.
Lui si fece serio e annuì comprensivo. Alzò le mani in segno di resa.
«Però la devo avvertire, signora King, che sono troppo stanco per assicurarle una prestazione soddisfacente.»
«Non si preoccupi, signor King, ho abbastanza energie per entrambi.»

Casa nostra”… ah, aridaje, che per caso c’era anche in programma di fare del romanzo l’ennesima saga famigliare ambientata in Sicilia™? Ehm, niente, sto divagando, pensieri selvaggi, e solo per distrarmi da quel “sono troppo stanco per assicurarle una prestazione soddisfacente”. Allora, il fantasma decide di manifestarsi ad Allison perché… reasons, I guess… e solo in seguito la nostra eroina diventa debole e spaventata, e proprio a furia di essere perseguitata dallo spettro. Bello, ma io rimango con la mia domanda: perché sto cazzo de fantasma non si manifesta a nessun altro?!

Cioè, nemmeno Michael, il bambino… ehi, un momento, Michael è il terzo protagonista, e fin qui non ho speso una mezza parola per lui: non sarebbe forse il caso che la recensione si concentrasse sul suo ruolo nella storia? Pensate questo, eh? E va bene, l’avete voluto voi. Occhei, vi parlo di Michael, ma poi non piangete.
Ebbene, a un certo punto scopriamo che in effetti Michael riesce a vedere il fantasma misantropo: e meno male, perché si sa che i bambini in queste faccende horror sono come i cani, hanno un… sesto… senso… LOL. Vabbè, ecco il brano:

Senza riuscire più a trattenersi [Allison] domandò al bambino: «Ti piace qui?» […]
Michael guardò Allison da sopra la ciotola di latte e cereali. Abbassò gli occhi, poggiando entrambi i palmi delle mani sul tavolo. Sembrava a disagio. […]
«A te, mammina? Ti piace questa casa?» chiese con la sua espressione seria, da giovane adulto. Aveva evitato di rispondere.
Allison esitò.
[…]
«Ma certo, Michael. Questo posto è il più bello del mondo. Casa nostra è il posto più bello del mondo.»
[…]
«Lui… lui però non ci vuole qui», disse esitando.
[…] Michael si era fatto pallido e faceva dondolare nervosamente le gambe a ciondoloni.
«Chi non ci vuole qui, Michael?»
Allison gli poggiò le mani sulle braccia. Voleva essergli di conforto, ma da come il figlio strinse gli occhi, capì che gli stava facendo male.
«L’uomo che ci chiama quando dormiamo.»

Be’, questa roba, nel suo essere paranormale, è perfettamente normale. Sì, sì, infatti, è quello che segue a essere una grana, principalmente perché… uh… non segue un cazzo?!
Abbiamo appena letto che Michael manifesta uno stato di malessere, è “a disagio”, è “pallido”, e si muove “nervosamente”: ottimo, e… è tutto. Lettori, ho riportato l’unico momento del romanzo in cui il bambino pare non passarsela bene! Eggià, per tutto il resto di Nel buio della casa non lo scopriamo mai taciturno, scostante, pensieroso, depresso, o con i lucciconi come… aridaje… il bambino de Il sesto senso, che manco mi ricordo come si chiama. D’accordo che Michael deve fare uno sforzo in più per piangere, non potendo contare sull’incoerente e spaventoso sguardo da macho di Bruce Willis, però che cacchio, vederlo sempre giocherellare felice in compagnia del suo cane mi sembra un po’ troppo, no?! Dico, pochi giorni dopo (pochi giorni dopo!) aver aver confessato a Allison che un uomo mostruoso e misterioso gli parla durante il sonno, il nostro Michael… semplicemente stronzeggia…

[…] [Allison e Noah] rimasero insieme in silenzio a guadare il figlio che giocava lanciare sassi sulla riva del lago, con Mostro [il cane] alle calcagna, che abbaiava eccitato. Nulla avrebbe potuto rovinare quella giornata meravigliosa.

Davvero, nulla, che volete che sia? Spiace solo per l’assenza di Freddy Krueger, che doveva potare delle siepi e non poteva essere lì a completare il quadretto lanciando una palla da baseball al bimbo. Va be’, almeno c’è da notare che Allison e Noah… ah, porcaccia, manco loro hanno una cavolo di reazione alle parole di Michael! Cioè, tuo figlio praticamente ti dice che sente le voci, che uno sconosciuto gli dà ordini e avvertimenti, e tu che fai? Macché pensi alla schizofrenia o a un pedofilo! No, sei sicura che è tutta suggestione infantile, sai son quelle cose che i marmocchi fanno, a volte:

[Allison] [s]i ripeteva poi che Michael non aveva visto un bel niente. Era stata lei a suggestionarlo e accidenti se sapeva quanto era facile farlo con un bambino di sei anni.

E questo se sei la madre. Se se il padre, da bravo padre, guardi prima a destra, poi a sinistra, e infine te ne fotti

Gli tornarono in mente le parole che Michael gli aveva sussurrato preoccupato durante la giornata al lago.
La mamma… è diversa. Bisbiglia nel buio. Parla con l’uomo nell’ombra.
Sì, si era preoccupato sentendo il figlio parlare di Allison in quel modo, ma si era cullato nell’illusione che tutto si sarebbe risolto perché presto tutto sarebbe tornato come prima.

It’s ok, it’s just a bambino, BROOO!, they say shit all the time! Eh, chiaro, il buon Noah che motivo ha di pensare che Allison abbia un amante, o che ci sia un rapinatore che cura la casa? Nah.
Ehi, meno male che Fiore&marito hanno speso del tempo a battezzare il personaggio di Michael, così la totale inutilità ai fini della suspense e della trama in generale adesso ha un nome preciso.

Mio Dio, ma sei un Mostro schifoso!

Com’è poi giusto che sia, un personaggio inutile ha bisogno di un compagno: si sa che vanno sempre in coppia, no? E il Mostro è l’altro inutilissimo. No, non quel mostro, anche se pure quello… il Mostro, l’altro… il cane, vabbuò?! “Mostro”… ma come te vie’?
Uff, concentriamoci. Ricordate che cosa ho affermato en passant poco sopra? Le percezioni extrasensoriali dei bambini e degli ANIMALI sono un topos assoluto degli horror. E benché si possa un po’ storcere il naso davanti ai luoghi comuni, se essi sono comuni un motivo ci sarà, ed è meglio tenerlo in conto. Pertanto, va da sé, inserire un cane in un horror, per poi non fargli fare… uh… niente, è come inserire un chad in un chick-lit e lasciargli addosso i pandallony tutto il tempo.
E dai, su, obiettate voi, Fiore ama gli animali, e voleva col cane dare un tocco in più di pucciosità all’ambiente; Mostro è solo un dolce oggetto di scena. Sì, non metto in dubbio la buona fede di Fiore, lei non ha colpa di nulla, è sicuramente suo marito il casinaro: è che però Mostro non è manco un oggetto di scena, è inutile perfino sotto tale punto di vista! Il beneamato cane, infatti, non è un elemento presente fin dall’inizio, non è il quarto della famiglia, a un certo punto compare e basta! I nostri eroi hanno già completato il trasloco, hanno già fatto pipì in tutti gli angoli della casa per marcarla, e, soltanto dopo tutto questo, Mostro entra in gioco.
Non so, voi che dite? Io dico che è molto male aggiungere un elemento nuovo, e carico di aspettative da parte del pubblico, in una trama ormai avviata. A maggior ragione, lo ripeto, se poi quell’elemento viene lasciato lì a prendere polvere e appiccicume. Fiore, ma non potevi far del cane, che so, un monito per Allison&Co.? Mostro che ringhia insistentemente in una stanza vuota, Mostro che in più di un’occasione salva Michael dall’assalto dello spettro (calma, calma ne parliamo dopo). Addirittura Mostro avrebbe potuto morire: in un’opera qualunque è dura da digerire la morte di un cane, però, ehi!, Nel buio della casa è un horror, e ci sta che voglia farci star male, proponendo la morte eroica o tragica del migliore amico dell’uomo. Sapete che c’è? Mostro muore davvero. Solo che muore come ha vissuto: senza gloria, senza scopo, senza senso. Ah, e scusate lo spoiler, ma tanto non vi sareste persi nulla…

Adesso vi parlo di… e che cacchio… un altro personaggio superfluo?! Cazzarola, Nel buio della casa mi sta diventando un Punto pieno!
Va be’, conosciamo la signora Mildford. Si tratta di un’amabile vecchietta, proprietaria di un emporio: com’è, come non è, si ritaglia il suo spazio nella trama dando ad Allison delle informazioni sul vecchio proprietario della casa, oltre a qualche dritta su come vanno trattati i fantasmi. Ah-ah, ecco il mentore del romanzo. Occhei, se le cose stanno così, tutto bene, la vecchia Mildford è perfettamente azzeccata. Di solito in un horror arriva il momento in cui al protagonista mancano le forze, perché s’è definitivamente reso conto di aver a che fare con qualcosa di “più grande”. Naturalmente, perché la lotta contro il male possa almeno proseguire per un po’, c’è bisogno di un aiutino. Ed ecco che, appunto, entra in gioco il mentore.
Voglio chiare subito, a scanso di equivoci: non è affatto necessario che il mentore risolva la situazione. Anzi, la maggior parte muore nello scontro con l’entità sovrannaturale (come padre Merrin de L’esorcista, o Sofi de Il mai nato). Il fatto è che il loro destino è secondario: l’importante è che permettano al protagonista di ritrovare la fiducia in sé stesso e la voglia di continuare a lottare. Insomma, per farla breve, se nel tuo horror ci metti un mentore, e faresti bene a mettercelo, assicurati che dia utili consigli o indizi all’eroe della storia.
Ecco, indovinate? Dare buoni consigli e indizi utili è esattamente ciò che NON fa la signora Mildford. Ma come?! L’ho presentata sostenendo che fa… e che lei… calma. Sì, lettori, confermo: la vecchia dà dritte e tips a Allison. Solo che non sono “buone” dritte. Sono delle dritte del cazzo:

«Ma cara, tu sei forte. Devi solo ricordarti, ogni volta che scorgerai [accidenti, perché continuo a leggere “scoreggerai”?! NdS] qualcosa nell’ombra, che quelle impressioni non ti possono toccare. Possono farti paura, sì. Possono coglierti di sorpresa… ma non possono farti davvero del male. Quando si presenterà di nuovo, tu prova a parlargli. […] Prova a dirgli che sei sua amica. Che pregherai per lui e che provi tanta pena per la sua condizione. […]

«Ho letto su internet che bruciare della salvia può aiutare a… a purificare la casa. È vero?» chiese.
«È vero», la signora Mildford annuì incoraggiante, «può essere di grande aiuto. Dovrei averne un po’ nella credenza, ora te la cerco subito. Hai messo anche la lavanda in camera del tuo bambino?»
«Sì, signora.»
«Brava ragazza. Aggiungi anche un po’ di sale agli angoli delle stanze. Ora ti cerco subito la salvia.»

Vecchia, scusa, non voglio essere pedante, ma fare l’amichetto psicoterapeuta non funziona coi bulli, vuoi che funzioni con gli esseri infernali? E se è vero che i fantasmi non possono fare del male, quale cazzullo è il punto di reagire, allora? Che ti frega di parlare allo spettro, di rassicurarlo, tanto non ti può toccare, non ti può far del male! Fottitene e basta, al limite alza il volume del televisore, se il fantasma si mette a cantare Laura Pausini a voce troppo alta, no?!
Come avete già capito, se la signora Mildford avesse ragione e non fosse una rimbambita arteriosclerotica, Nel buio della casa finirebbe così, de botto e senza senso. Invece non finisce de botto (pur rimanendo senza senso), e quindi il personaggio mentore si rivela un personaggio merdore.

Alla luce della suddetta osservazione primaria, il secondo consiglio sulla purificazione risulta, ovviamente, ’na strunzada. Il bello è che ’sta strunzada è talmende ’na strunzada, che il romanzo se ne dimentica completamente. Cioè, sono seria: non si parla mai più né di sale né di lavanda! E sì, che c’era il modo di renderli… uhm… “utilmente inutili”? Già, sarebbe stato sufficiente, che so, imbastire una scena in cui la lavanda inizia ad appassire nonostante le cure di Allison: tale dettaglio avrebbe suggerito che il fantasma è molto peggio di quanto si possa pensare, tanto gramo che, contro di lui, i metodi tradizionali non funzionano.
Invece no, ciccia! Fiore si è distratta, e Michele s’è distratto appresso a lei, e puff!, sale e altri ninnoli comprati a peso d’oro dal mago do Nascimento sono finiti nella pattumiera.

Al Chiattone

Be’, almeno, grazie alla vecchia, Allison scopre che il fantasma ha un nome: Al Capon… seee, magara fosse così tosto… è un generico Al Owens. Segni particolari: è il precedente proprietario della casa, e… boh, basta. Ebbene, tutta la manfrina viene fuori perché il buon Al è gelosissimo della sua casa, e non gli va che dei borghesucci tocchino tutto con le loro mani sudicie e appiccicose.
Ah, interessante, da ciò cosa deducete, lettori? A occhio e croce, da vivo Al Owens sarà stato parimenti ossessionato dalla sua dimora, proprio come il vecchio Nebbercracker del film d’animazione Monster House (anche Nebbercracker caccia in malo modo tutti coloro che si avvicinano alla sua proprietà). Giusto, non trovate? Logicamente le cose stanno così.
Nope! La signora Mildford, bisognosa di infudumpare qualcosa, ci racconta della vita di Al, e scopriamo che il nostro fantasmone era una specie di poveraccio vittima a sua volta dei fantasmi che occupavano la casa prima di lui…

«Mia cara, Al è stato stroncato da un infarto perché era un uomo solo, in sovrappeso, che mangiava solo bistecche e beveva troppa birra. Il dottore l’aveva avvisato di darsi una regolata, ma Al non ha mai avuto una signora Owens che potesse vegliare su di lui… o sulla sua dieta.»
«Che cosa le aveva raccontato riguardo alle cose che vedeva nella casa?»
La signora Mildford si fece pensierosa.
«Credo che avesse sempre visto qualcosa in quella casa… ma ha iniziato ad accennarmene solo nell’ultimo periodo. Era un vecchio burbero, sai? […] Al venne a chiedermi consiglio. Un po’ come stai facendo anche tu, mia cara. Lui sapeva che sono sempre stata una persona molto… spirituale. Mi disse che la sua casa… sussurrava. […]»
«Lei è andata a casa sua?»
A casa mia, pensò con un brivido, «A controllare?»
La signora annuì, sempre con il sorriso stampato sulle labbra.
«Sì. E la casa era piuttosto… affollata.» La signora Mildford si accorse dell’espressione spaventata di Allison e le sorrise di nuovo.

Eh, be’, certo Fiore, le donne servono a questo, a tappare il buco dentato degli uomini. Li vedete in giro tutti quei ciccioni, lettori? Quella è gente che non scopa, sappiatelo! Ah, lasciando perdere i casuali sprazzi di maschilismo (o è femminismo?), la vecchia sostiene che Al fosse un tipo “burbero”, ma niente affatto un personaggio ostile e ossessionato, tant’è che… porcaccia l’oca, non si fa problemi a invitare a casa propria la signora Mildford stessa! Perché cazzo allora diventa un fantasma il cui unico hobby è cercare di sfrattare Allison?!
Certo, ci sono! Ho equivocato: Al è in realtà un fantasma buono, non vuole tormentare la famigliola, sta solo cercando goffamente di salvare Allison&Co. dai veri cattivi, quegli altri fantasmi che gli hanno fatto venire un infarto. È una bella storia, che ne dite? Ha il leggerissimo difetto di essere una mia creazione originale, ma per il resto fila. Esatto, Nel buio della casa è cristallino sulla questione, Al è un grandissimo stronz…

[…] Allison capì, anche senza averne conferma, che si trovava di fronte al fantasma di Al Owens.
Il sapore dolciastro dell’orrore le inondò la bocca.
Il fantasma la sovrastava, nero, spaventoso re dell’oscurità.
«Non mi può fare del male. Non mi può fare del male perché non esiste.»
Allison ripeteva le parole della signora Mildford in maniera febbrile. Era impallidita e il suo volto appariva esangue. […]
«Non mi puoi fare del male… sei solo un’impress-»
Allison non riuscì a finire la frase.
Il fantasma le afferrò il viso ed entrò nella sua bocca.

Il sapore dolciastro dell’orrore le inondò la bocca”; “la sovrastava, nero”; “ed entrò nella sua bocca”. Occhei, sono solo dei leggeri doppi sensi, il libro è ancora buono, è solo un po’ viscidino, è ancora buono, è ancora buonoooo!
D’accordo, sorvoliamo. Sorvoliamo soprattutto sulla faccenda del Camilla Store, è meglio per tutti. Dunque, Al vuole che la casa resti vuota per qualche motivo, e per qualche motivo pensa che uccidere Allison e congiunti sia una buona idea, nonostante… uhm… be’, ma se muoiono poi diventeranno dei fantasmi anche loro, come mi insegna Casper, e allora il buon Al non se li toglierà mai più dalle palle, dico io! Ehi! Lo dice anche il romanzo, LOL:

Allison era in piedi, davanti al suo cadavere.
[…] Adesso riusciva a vedere le cose chiaramente come non era mai riuscita a farlo da viva.
Era molto diverso da come si era mostrato a lei quando era ancora in vita.
Adesso era solo il fantasma di Al Owens, un vecchio di ottant’anni, con una brutta e logora camicia di flanella, le mani piene di macchie dovute all’età, con un’espressione rabbiosa e triste sulla faccia rugosa, che la osservava muto, da dietro la porta.

Grande Al, sei un dio, porca troia! Mi domando solo perché anche la flanella sia una flanella fantasma: cioè, Al è morto d’infarto, mica è stato, che so, accoltellato! No, perché se fosse stato accoltellato avrei anche potuto capire la morte della flanella, trapassata dalla lama…

I figli vanno e vengono, un marito è per sempre

Concedo però che Al è davvero cattivo. Non si capisce come mai, questo è assodato, però è davvero cattivissimo. Non tanto perché ha steso la povera Allison, bensì perché aver steso la povera Allison innesca una serie di eventi che portano a un altro stendimento, ancor più sensazionale. Vi ricordate che a Michael e a Mostro succede qualcosa di brutto? Ecco… no, non scivolano sulla macchia dolciastra di orrore che Al ha lasciato in terra… no, la flanella fantasma non li soffoca cercando di baciarli… none, non si suicidano per la vergogna di vedere il cadavere di Allison con la bocca grondante orrore dolciastro… oh, mi fate finire?! Non siate impazienti!
Ebbene, dopo essere stata posseduta (eh, eh, eh) dallo spirito di Al, Allison tutta eccitata… be’, niente di che, uccide il cane e strangola a mani nude suo figlio. Che volete che sia? E per la gioia dei piccoli spettatori del Camilla Store, Fiore ci racconta con tenerezza ogni dettaglio dell’accaduto:

Mostro uscì da sotto il letto, ringhiando. Michael strinse forte gli occhi per non vedere. Il cane uggiolò quando la cosa lo prese. Sentì uno schianto e il rumore secco e orribile di qualcosa che si spezza.
«Mammina…» singhiozzò inerme Michael, portandosi le mani al volto, cercando inutilmente di nascondersi da quell’orrore.
Le mani grandi della cosa.
Della sua mammina.
Si strinsero attorno al suo piccolo collo.
Il respiro del bambino si mozzò. Le gambe si irrigidirono, poi tremarono violentemente mentre Allison premette forte i pollici.
Il bambino si agitò, cercò di divincolarsi. Graffiò le braccia della cosa che un tempo era stata sua madre e mugolò come un gattino che viene annegato.
Poi, si afflosciò. Le mani scivolarono fiaccamente sulle cosce e la testa crollò all’indietro, inerte.

Ah, questa sì che è una bella scena terrificante. Oh, perché il tuo libro è una cazzata micidiale?! Fiore, perché hai permesso che tuo marito (è tutta colpa sua, lo so, brutto bacarospo!) rovinasse la purezza della tua opera?! Perché non fate un esorcismo e non liberate il vostro scrittoio dallo spirito di Veltroni, porca zoccola?! Fiore, quel viscidume colante e quell’odore di cassonetto non sono colpa di focose sessioni su Pornhub, sono la tangibile manifestazione dell’ectoplasma veltroniano, fidati!, l’ho imparato da un documentario, Ghostbusters si chiama!
Lettori, non credevo che l’avrei ripetuto così tante volte, ma… cavolo, esiste una legge non scritta che, salvo eccezioni assolutamente straordinarie, proibisce di mostrare in presa diretta la brutale uccisione di bambini e animali. Non è pruderie, è che altrimenti si rischia di scioccare il pubblico in maniera molto indisponente.
Quando si sceglie un horror, la stragrande maggioranza delle volte è perché si vuole provare qualche brivido controllato, si vuol fare qualche “jumpscare” sulla sedia, robetta del genere, insomma. La descrizione minuziosa di un figlicidio, be’, è invece qualcosa che scuote profondamente: non è tanto da horror semplice, è più da letteratura di denuncia (ad esempio, se si vuol scrivere un romanzo sulla Shoah, o sulla mafia). Comunque, non è da narrativa “commerciale”.
Aggiungiamoci poi che c’è modo e modo di raccontare un figlicidio. Se pensiamo alle morti dei bambini nella letteratura, ci rendiamo conto che molto di rado questi vengono uccisi “direttamente”. Penso ad esempio a Charlie di Follia, che non è annegato: è “lasciato annegare” dalla madre, che lo osserva a distanza senza intervenire. O ancora: il bebè de L’innocente viene fatto ammalare esponendolo brevemente al freddo, non è ucciso a mani nude.
E le eccezioni? In tal caso, come nel film The Others, spesso l’omicidio non è mostrato, è lasciato intendere: la narrazione allude in maniera alquanto vaga, e comunque senza troppi dettagli.

Non per il duo Manni&Monteleone, bitches! Troppo bello, troppo bello, spappolare quella piccola testina di cazzo! E la trachea che si accartoccia? L’avete sentita, lettori? Puro tocco di classe, smack!
Come dite? C’è qualcosa che non vi torna? Allora, Al possiede Allison, Allison muore… ma se muore, allora… no, dunque… che caspita succede esattamente? Ho capito, è un po’ colpa mia, sono saltata di palo in frasca. Metto ordine: Al possiede Allison; Allison posseduta da Al polverizza Michael e Mostro; Allison muore. Ah, così fila, sì. E naturalmente Allison muore a causa di… uhm… a causa di?
Forza, vi sfido, rispondete voi. È la possessione a causare il trapasso, due anime sono troppe per un corpo di carne, giusto? Nou. Allison ritorna in sé e muore di crepacuore, per la colpa! N… diciamo “ni”, ecco. Occhei, tagliamo corto: la nostra protagonista si suicida, ci eravate vicini. Solo che si suicida in modo cretino, of course! Allison non si toglie la vita per il senso di colpa (al contrario della madre di The Others), diciamo che si ispira a padre Karras. Che?! Sì: Allison si ammazza per evitare di assalire anche il buon Noah, il quale rincasa fischiettando proprio nel momento in cui Michael è diventato concime:

Sentì la voce di Noah, che gridava disperato.
Noah.
Si era uccisa perché non voleva che la cosa dentro di lei la usasse per fargli del male.

Ah, e non sta scritto da nessuna parte che, prima del suicidio, Al è uscito dal corpo di Allison, magari passando dal retro. Quindi, il modello Fiore è questo: la protagonista presumibilmente può riacquisire a piacimento il controllo sul suo corpo; la protagonista deve preoccuparsi più del marito che della prole. Cacchio, è corretto! Pensateci, lettori: un moccioso non si può riprodurre prima di almeno tredici, quattordici anni, mentre un maschio adulto è un’immediata fonte di sperma. Ottima mossa Allison! Vero, la tua specie ha appena perso un membro, ma grazie alla tua saggia decisione biologica potrai rimpiazzarlo in men che non si dica.
Solo mi lascia un tantino perplessa la capacità di scrollarsi di dosso il fantasma. Cioè, sfruttando al massimo questa abilità, risolvere il problema dello spopolamento sarebbe stato ancora più semplice: Allison avrebbe potuto coprire la perdita di Michael… uh… evitando di perdere Michael!

Cacciatori di FUNtasmi

Vabbè lettori, lasciamo questa moderna e stramba versione di Medea, che potremmo ribattezzare “Merdea”. Quanto abbiamo analizzato fin qui accade nella linea temporale del 2015, quella del passato. Ma c’è anche quella del presente (del romanzo), ambientata nel 2019: pensavate che me ne fossi dimenticata?
No, no, non si sfugge. Anche se ammetto che è facile trascurarla, se non altro perché… eh, sembra appartenere a un altro libro, tanto è slegata dalla precedente linea temporale. Per qualche ragione, nel 2019 scopriamo che sul territorio americano sono disseminate case infestate proprio come quella di Allison e Noah, e con questa premessa Nel buio della casa diventa improvvisamente un Cacciatori di fantasmi dei poveri. Però senza i poteri sovrumani di Zak Bagans, e, soprattutto, senza quelle sottili suggestioni omoerotiche che permeano ogni episodio della serie originale.
D’accordo, che succede esattamente? E io che cazzo ne so, scusate?!
In nessuna delle altre case infestate accadono eventi paragonabili a quelli causati dal buon Al. Nessuno dei personaggi che Noah incontra nella sua nuova vita da sfigato ghostbuster lamenta delle grane: nessuno vede fantasmi che gli altri membri della famiglia non possono vedere, nessuno viene posseduto, nessuno prova a uccidere. Praticamente i vari tizi si trovano davanti questo maniaco che parla di fantasmi e sembra volersi scopare i muri di cartongesso delle loro dimore, e… niente, sono perplessi, ci mancherebbe.
D’altra parte, noi stessi ci sentiamo via via smarriti, tanto da dubitare perfino che tutta la faccenda di Allison sia mai esistita. Ad esempio, nessuno sembra più ricordare che Michael è diventato un ancioleddo. Ah, voi pensavate che Noah si fosse reinventato cacciatore di fantasmi per vendicare il figlio, per lenire il suo dolore di padre? Macché, fa il ghost hunter per… motivi.
A questo punto non so, forse le troppe puntate del Camilla Store hanno lasciato il segno, e Fiore vorrebbe ormai che gli esseri umani nascessero già adulti; sta di fatto che… che cazzo ci racconta il romanzo della morte di Michael, se poi a nessuno frega più un tubo della sua dipartita? E con “nessuno”, badate, intendo Noah. E Allison.

Che?!
Oh, andiamo, di che vi stupite? Ho ribadito più volte che Allison diventa un fantasma. Il fatto è che, per la gioia di Al, Allison non si stabilisce nelle ceneri della casetta, diventa ospite fissa di suo marito. Un po’ come un verme solitario, esatto.
Bello, e… e come mai Noah non è posseduto da Allison, come Allison fu posseduta da Al? Ah, questa è solo UNA domanda, non vi preoccupate troppo, lettori. Sappiate che, da quando Allison è passata a miglior vita, il concetto stesso di “fantasma” è cambiato. Se ai tempi del vecchio Al, cioè nel 2015, i fantasmi erano sfuggenti, inafferrabili, informi e subdoli… nel 2019 c’è un aggiornamento: ora Noah vede distintamente il volto di Allison e le parla come se fosse viva, senza problemi. E in generale tutti i fantasmi sembrano vivi e “concreti”, tant’è che pure fanno a cazzotti (!) “come in una rissa da bar”, e “come se fossero fatti di carne e ossa”:

Una mano spettrale, stretta in un pugno, gli risalì la gola e scattò in avanti colpendo l’apparizione.

[Il fantasma di Allison] Veniva assalita a ondate. Decine di mani la afferravano, la spintonavano. Le tiravano i capelli, cercando di farla cadere per sovrastarla, ma lei continuò a respingerle, imperterrita, tenendo loro testa, menando le mani come in una rissa da bar.

Allison attraversò il corridoio, scacciando gli spettri che si protendevano sulla bambina. Iniziò a tirare via dai Blum i fantasmi, come un arbitro in una mischia. Li afferrava per le braccia e li scagliava contro i muri, allontanandoli dalla bambina, affrontandoli come se fossero fatti di carne e ossa e non di densa ombra.

E tutto questo avviene per… per via della strana forma mentis dei nostri due autori, suppongo. Però, ehi, di buono c’è che la ritrovata materialità di Allison sembra far bene alla coppia. Sbattendosene felicemente della morte del figlioletto (per non parlar del cane!) i due protagonisti vivono una seconda luna di miele, punzecchiandosi tutto il tempo come due fidanzatini arrapatini:

«Sei vivo?»
Una voce di donna.
La voce di Allison.
«Che domande stupide che faccio. È ovvio che sei ancora vivo. Se tu fossi morto io adesso sarei impegnata a giocare a scacchi con Hitler e con il pasticcere che ha inventato i cinnamon rolls.»
«Tu non sai giocare a scacchi», mormorò Noah con dolcezza. […]
«Quindi hai da ridire sulla mia abilità come giocatrice di scacchi, ma non sul fatto che finirei all’Inferno? Pensi davvero che potrei finire all’Inferno?»
«Non ho da ridire sulle tue abilità di giocatrice… penso che tu non abbia neanche idea di come muovere il primo pedone.»
Il fantasma della donna lo guardò accigliato, quindi Noah proseguì.
«Tanto per cominciare, a scacchi si gioca in due e non in tre, quindi la tua immaginaria partitina all’Inferno è un po’ affollata… e poi ti piacciono troppo i cinnamon rolls per finire in Paradiso, Allison King», concluse Noah sorridendo. […]
«Io non saprò giocare a scacchi e avrò anche dei problemi con i dolcetti alla cannella, ma tu sei davvero un pessimo marito, Noah King.»

Ehi, vorrei che i due eroi mi consigliassero la loro tecnica per superare i traumi psicologici!

Dai, a parte gli scherzi, Manni&Monteleone si sono divertiti molto con i passaggi che contengono le trombatine da liceali, però giustamente hanno deciso di inserire anche un minuto di silenzio per il dolce Michael. Com’è strutturato questo punto focale? Be’, Allison finalmente confessa… tensione, tensione… a Noah… tensione, tensione… confessa che Michael… tensione, tensione… Michael non è morto nell’incendio, l’ha ucciso lei stessa. Wow. Vi prego, lettori, cercate di diminuire le pulsazioni, prendete fiato: vi voglio posati e controllati, perché dovete affrontare ciò che succede in seguito alla confessione. Pronti? Allor… ah-ah, eddai, che ci avete creduto? Ma non succede un cazzo, no?

«Quello che è successo è solo colpa mia, Noah. Ho ucciso io Michael.»
[…]
Noah e Allison avevano continuato a discutere anche quando avevano raggiunto la stanza. Noah non si era seduto sul letto, aveva scelto la poltrona di velluto nell’angolo. Allison era fluttuata accanto alla finestra. Il sole era sorto ma era stato presto ingoiato da alcune nuvole grigie. Attraverso Allison, Noah notò che aveva iniziato a nevicare piano. Si stropicciò gli occhi, rendendosi però conto che la stanchezza della nottata in bianco era stata spazzata via dal bisogno di confrontarsi.
Avevano parlato di Michael e di quello che era successo quella notte e avevano litigato come non facevano da anni. Dopo essersi riappacificati, Noah guardò la moglie, evanescente contro la finestra e scherzò: «Lo sai che non litigavamo in questo modo da prima che morissi?».

Ah, ah, ah, ah, porco zio, quel fottutello, quando è schiattato… le risate, guarda. Ad ogni modo, almeno mi è chiaro che l’irresistibile imbarazzo causato dalla suddetta scena è il motivo per cui Michael, a differenza della madre, non diventa un fantasma e decide di revocare la sua partecipazione alla trama. Cielo, lettori, riconosco che il “non ti preoccupare, un giorno, della morte di nostro figlio, ne rideremo” pone Nel buio della casa una spanna sopra tutti gli altri romanzi demmerda. Sfortunatamente, “sopra” è un concetto relativo: basta mettersi a testa in giù, ed ecco che il fondo del barile diventa la vetta…

Ciao, Satana

Stringi, stringi. A parte il corteggiamento dell’innaturale relazione uomo-fantasma, e le case infestate che non hanno mai dato problemi agli inquilini (appena qualche occasionale spavento)… che succede? Nel riassunto iniziale vi avevo anticipato che dietro a tutto c’è l’Architetto. Bene, è un giallo adesso: Noah e Allison, con il classico impermeabile, devono diventare i detective che scopriranno cosa vuole l’Architetto. E pure chi è l’Architetto, già che ci sono.
Niente da fare, l’unica vera possessione colpisce ancora. Come quale? Quella che ha coinvolto Fiore&Michele, la possessione veltroniana, no?
Una volta di più, i nostri autori ammazzano la suspense rivelandoci subito nome e cognome dell’Architetto, Richard Matheson, quando ancora ci troviamo a nemmeno un quinto del libro.
D’accordo, in tutta onestà il romanzo non dice esplicitamente che è lui l’Architetto, ma solo un Chiara Valerio non riuscirebbe a capirlo. È il solito difetto à la “giallo di Veltroni”: a un certo punto del libro, fra capitoli in cui gli UNICI personaggi rilevanti sono Noah ed Allison, iniziano a comparirne alcuni in cui leggiamo vecchie registrazioni vocali, registrazioni che parlano proprio di questo Richard Matheson, registrate proprio da questo Richard Matheson! Ehi, è un personaggio vissuto negli anni Sessanta, che non ha alcun legame con i protagonisti, che ripete continuamente di voler riavere con sé la moglie defunta, chi cazzo mai potrà essere, eh? Eh?

E vabbè, Richard. Dopo aver perso la moglie Rebecca, il nostro Architetto cade in depressione e, incoraggiato dal suo psicologo, cerca di superare il lutto parlando a un registratore, immaginando di rivolgersi alla cara estinta. In realtà lo psicologo l’aveva semplicemente invitato a tenere un diario, ma a Richard non piace l’idea, forse perché non sa scrivere (e vedremo che ha sicuramente difficoltà a leggere).
Ehi, è il solito espediente della fonte ritrovata: un deus ex machina provvidenziale sbroglia il mistero raccontando i retroscena. È una trovata alquanto cringe, ma almeno evita che l’autore niubbo infarcisca la trama di spiegoni logorroici. Purtroppo Fiore e il tipo che s’è sposato sono riusciti a rovinare anche questo salvagente: soprattutto perché, se Richard si registra soltanto allo scopo di parlare con Rebecca, le registrazioni dovrebbero… uh… contenere dichiarazioni d’amore, soliloqui addolorati, cose del genere, no? E invece no, contengono anche roba esoterica, con annessi e connessi!
Ora, che… c’entra… la… roba… esoterica? Be’, scopriamo appunto che, per riavere sua moglie, Richard a un certo punto trova conveniente mollare la terapia e stringere un patto con… oh Gesù… no, cioè, non… il patto lo stringe con Satana, ecco.
Satana, che su consiglio dei suoi promotori finanziari intende investire nel mercato immobiliare, accetta il patto e chiede in cambio a Richard di apporre un particolare sigillo in alcune case. Il sigillo attirerà e intrappolerà nelle abitazioni le anime inquiete dei morti, e il buon Satana avrà degli inquilini che gli pagheranno fior di quattrini per l’affitto.
Richard obbedisce e da bravo sgobbone si mette a costruire (più che altro ristruttura, ma vabbè) lui stesso case infestate, addirittura costruisce un’intera città infestata, Marrow Creek, e poi diventa il sindaco. Tutto sembra procedere bene, però scopriamo che a volte c’è stato qualche intoppo, come ci suggerisce questo stralcio, tratto dalle registrazioni:

MATHESON: […] Chiedi ciò che vuoi e ti sarà dato.
[SILENZIO]
[…]
MATHESON: Un simbolo? Che simbolo?
[SILENZIO]
MATHESON: Capisco. È una specie di monogramma, immagino. Credo di avere anche capito quale… Era nel libro stampato da Torchia. Per mesi ho creduto fosse un disegno. Una volta compreso che erano lettere, ho dovuto viaggiare fino al villaggio di una tribù in Nuova Guinea per trovare qualcuno che sapesse ancora pronunciare quella sillaba.
[SILENZIO]

Satana, stronzo, perché non scrivi in italiano, come fanno tutti? Ah, lettori, devo dire che provo un po’ di pena per il diavolo. Il suo silenzio imbarazzato è eloquente. E l’imbarazzo non è solo per la lamentela del suo neoaccolito, proprio un vero cacacazzi illetterato, ma è pure per quella grottesca citazione de La nona porta (che già di suo è parecchio stupido, come film, è quasi parodistico: che, niente niente anche Fiore ha voluto scrivere una parodia?) e per l’aver scomodato… boh, i Krowai?… gente che di Satana proprio se ne sbatte il belino, adorando da millenni ben altre entità.

Santa Claus(ola)

Raccapezziamoci. Ho menzionato Marrow Creek. Bel posto spettrale, che però si trova pressappoco in Montana, ossia… a migliaia di chilometri dalla casetta stronza di Noah e Allison! Come caspita arrivano fin lì i nostri eroi? Eh be’, ci capitano in seguito a una segnalazione ricevuta su… ma come si fa… su Facebook.
Allora, sostanzialmente la città è diabolica, no? Non credete che… uhm… dovrebbe avere un aspetto un pochino diverso rispetto alle altre città? Intendo anche qualcosa di esagerato, che in questo caso ci sta: non so, bambini ritrosi e pallidi, donne e uomini dall’aria assente, cose così. E il sindacone, il nostro Richard Matheson? Uno che è a diretto contatto col diavolo dovrebbe come minimo avere un particolare che suggerisce un’anomalia sottostante: un sorriso tirato, qualche tic che sottende un’inquietudine, un’anima corrotta. D’altronde, grazie al potere del diavolo, non invecchia dagli anni Sessanta…

Nah, è la classica piccola comunità della profonda America, dove tutti si conoscono e frequentano l’unico diner:

Lo sceriffo Emma Blum entrò da Lettie’s zoppicando, il cappello a tesa larga spruzzato di neve calcato in testa e un sorriso amichevole sulle labbra. L’unico locale in città che serviva colazioni era gremito e le tre giovani cameriere si destreggiavano tra i tavoli piroettando tra gli astanti con i vassoi in equilibrio tra le mani. La stanza era piena di giocosa elettricità che Emma riconobbe come spirito natalizio. […]
Noah si voltò per salutare il nuovo arrivato.
Un uomo sulla sessantina, capelli bianchissimi e un sorriso aperto e sincero della stessa tonalità. Indossava un elegante completo in principe di Galles, portato senza la cravatta. A Noah fu istintivamente simpatico.

La “giocosa elettricità”, lo “spirito natalizio”! Va ben che Satana è un maestro di inganni, e che potrebbe perfino scacciare sé stesso per dar l’impressione di essere buono e far più danni in seguito, però… eh, lo spirito NATALIZIO non dovrebbe dargli un tantino di prurito? Ma sì, sì, è noto che il Natale piace a tutti, insomma, se si è cristiani o non ebrei: e forse è proprio il Natale che permette a Matheson di sfoggiare un sorriso “aperto e sincero”, pur avendo in precedenza tentato già tre volte il suicidio (per sfuggire al patto satanico, confessa poi lui stesso).
D’altra parte, non è che il suicidio possa impensierire più di tanto l’Architetto, lui stesso sa bene che Satana, non volendo rinunciare all’affare degli immobili, non gli permetterà mai di appendersi a una trave e scindere il patto. Ah, ma quindi ’sto Satana è proprio cattivo! È talmente cattivo, che mi sa Noah e Allison alla fine capiranno che lo scontro finale è proprio con lui, e non con Richard, giusto?

Giusto un par de palle: Noah spara a Matheson, lo fa secco e… bum, fine.
Avete capito bene. Richard ha provato mille volte ad ammazzarsi e non gli è mai venuto in mente che bastava farsi ammazzare. Vedete, a Satana piace fare i contratti a norma di legge, perciò è costretto a inserire una clausola che permette l’annullamento del contratto qualora una delle due parti sia uccisa da un esaltato qualunque. Purtroppo per lui, l’esaltato s’è fatto vivo davvero, e il romanzo finisce dunque nel peggiore dei modi: il povero Satana dovrà rinunciare all’immobiliare e accontentarsi di investire in azioni, derivati ed hedge funds… nel 2019… poco prima del COVID-19…

Li evito

Mi rendo conto che siete stanchi, e lo sono anch’io, però credetemi se vi dico che vale la pena parlare ancora un po’. Dello stile.
Ora, il nonsense è l’ingrediente fondamentale del romanzo, non ci piove. Ovviamente, è la sfumatura principale anche dello stile: in particolare, Manni&Monteleone si compiacciono di sbrodolare paragoni nonsense

Ognuno di quei respiri della casa era accompagnato da una melma nera che trasudava dalle pareti, come sebo dai pori della pelle di un malato.

Cioè, “malato”… malato di cosa? No, perché uno con il raffreddore ha sintomi e anche secrezioni diverse rispetto a uno affetto da peste bubbonica, da quel che so almeno. E poi, insomma, non mi sembra proprio una similitudine corretta: mettiamo anche caso che con l’influenza la pelle aumenti la produzione di sebo (a me succede il contrario, lol), ma proprio “trasudare”… senza contare poi che il sebo non assomiglia né per consistenza né per colore alla melma nera di cui si parla nel brano! Fiore, che volevi comunicarci, eh?
Altro esempio:

Noah scrollò la testa allontanando quel pensiero come fosse un parassita sul pelo di un cane.

In genere si usa dire che si scaccia via un pensiero “come si fa con una mosca”, perché, quando formuliamo un’idea sgradevole, istintivamente scuotiamo la testa (che è il modo con cui fin da piccoli comunichiamo agli altri che “no, non ci va”… vabbè).
Insomma, capisco pure il desiderio degli autori di riformulare il concetto in maniera originale, ma che… che c’entra il “parassita sul pelo di un cane”? Che parassita, la zecca per caso? Eddai, che novità è, per togliere una zecca bisogna scrollare la testa?!

Oh, non so, a questo punto sbaglio io. Ma non penso sia un vero errore: è che io e Fiore viaggiamo su piani di realtà diversi. Sì, è l’unica spiegazione che riesco a darmi, quando leggo che Allison e Noah, esultando per l’allacciamento elettrico della loro nuova casa, si sentono finalmente nel “Ventesimo secolo”:

Il tecnico della fornitura elettrica aveva appena completato l’allaccio alla rete e ora vivevano finalmente nel Ventesimo secolo.

A regà, se è per questo l’elettricità c’era pure nel Diciannovesimo: ma i protagonisti vivono nel VENTUNESIMO secolo, e siccome vogliono ironicamente dire che l’impianto funzionante li rende “al passo con gli altri esseri umani”, devono riferirsi a quello, non al secolo precedente! Però, considerando che il romanzo tira in ballo (sempre inutilmente) perfino Hitler, forse forse ’sta storia del Ventesimo secolo fa parte di un sottotesto che mi sfugge.
Ultimissime chicche: i nostri autori sono straconvinti che gli spettri, subito dopo la morte del loro corpo, seguano un corso di panificazione nell’Aldilà, infatti Allison è sempre lì che fa “lievitare” cose:

«Sei riuscita a far lievitare degli oggetti, e tanti, tutti in una volta!»

Allison annuì pensierosa. Poi fece lievitare la cartina fuori dal cruscotto.

E quando i personaggi scatarrano o ridono, lo fanno così intensamente che i loro “accessi” si trasformano automaticamente in “eccessi”:

[…] dopo essere finalmente riuscito ad arrestare un eccesso di tosse […].

Il fantasma assistette impotente a due nuovi eccessi di tosse del marito.

Noah fu preso da un nuovo eccesso di risa che ben presto si trasformò in uno di tosse.

Devo spezzare una lancia contro… no, scusate, “a favore di” Manni&Monteleone: i suddetti obbrobri, più che lo stato di confusione degli autori, rivelano lo stato di sciatteria e pigrizia in cui versa il comparto editing. Uè, grandi firme, vogliamo farlo ogni tanto un editing decente, oppure no?

So, so, so bad…

E ora concludo con un mio pensiero. Nessuno vince quando gli editori antepongono i loro squallidi profitti alla qualità artis… AHHHH! Levatemi dalla faccia questo cazBIP! di codice isbn porcBIP!
Uff, meno male, mi sono liberata, non si staccava più. Quello che volevo dire, lettori, è che le grandi cas(at)e editrici, pensando di trarre facili guadagni dallo sfruttamento di nomi famosi, finiscono immancabilmente per propinarci della spazzatura vergognosa.
Ma non stavolta! Cioè, non so, magari può pure darsi che Fiore sia stata sfruttata per una pura operazione commerciale, boh; quel che so è che Nel buio della casa è un so bad it’s good spettacolare. È talmente scritto male da Dio, che non rimpiango un solo minuto di lettura.
Badate che sono seria! Spero che la nostra autrice (e Michele) non si senta offesa dalle mie innumerevoli perculate, perché davvero, lo giuro, mai voglio denigrare e umiliare gli autori: e a maggior ragione in questo caso, avendo io riso a crepapelle non dell’amatorialità di Fiore, bensì della pura storia e del suo mondo più che bislacco. Non era intenzione dei nostri autori, suppongo che abbiano preso seriamente l’idea di scrivere un horror, nondimeno un libro capace (quand’anche involontariamente) di intrattenere, di divertire e di far star bene chi lo incontra, è un libro da considerarsi riuscitissimo. Il cinema è pieno di classici “così brutti che belli”, opere in fin dei conti amate e rispettate, come amati e rispettati sono i loro autori: è ora che anche nella letteratura avvenga lo stesso. Nel mio piccolo, in passato vi ho proposto altri so bad it’s good, e Nel buio della casa entra prepotente nella lista. Di conseguenza, non ho paura ad ammettere che lo amo e lo rispetto, e amo e rispetto Fiore. Va bene, anche suo marito.
Certo, se in futuro il magico duo vorrà adeguare l’opera alle intenzioni, mi permetto di consigliare un più approfondito studio delle varie tecniche narrative. Senza però, nel frattempo, smettere di scrivere, soprattutto se Fiore e Michele si sono divertiti a digitare le lettere tanto quanto mi sono divertita io a leggerle. Ohi Fiore, va bene che i bambini hanno bisogno di vestitini per superare l’inverno, però anche noi grandi vogliamo superare la pupù che il telegiornale ci fa ingurgitare ogni giorno: pensa anche a noi, regalaci qualche altro so bad it’s good, daje!
E va bene, dovrebbe esservi tutto chiaro, cari lettori. Sinceramente non so cosa state ancora facendo qui. Vi piace divertirvi, vi piace ridere, no? E allora?! Questa recensione era solo un antipasto. Date un bel morso al romanzo di Fiore e Michele: vedrete, mi ci gioco la carriera, alla fine della fiera giudicherete di aver fatto una buona lettura!

Sara

Ciao! Sono la fondatrice del blog letterario "Il pesciolino d'argento", amo profondamente i libri, l'arte e la cultura in generale.

Potrebbero interessarti anche...

Che cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *