Il tempo narrativo e lo scopo delle descrizioni

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tempo narrazione

Prendi pure un orologio

In questo articolo tratterò del tempo nella narrazione.
È fatto noto e intuibile che il tempo reale coincide raramente con quello della narrazione; scrivendo, abbiamo infatti a disposizione diverse tecniche che ci consentono di fare qualcosa che nella vita non è possibile: esercitare potere sullo scorrere del tempo.
Mi riferisco ai flashback e ai flashforward, termini molto usati nell’ambito cinematografico: in ambito narrativo però è più corretto chiamarli rispettivamente analessi e prolessi.

Due capisaldi

Delle analessi è facile intendere l’utilità: applicabili con il narratore sia in prima sia in terza persona, chiariscono alcuni aspetti della vicenda o del carattere dei personaggi; proprio per questo le analessi vengono definite “completive”.
Per esempio ne Il nome della rosa, l’analessi ad opera di Adso sul passato da inquisitore di Guglielmo da Baskerville è necessaria per comprendere appieno la figura di quest’ultimo, e per dare giustificazione di alcuni suoi comportamenti.

La prolessi, ovvero l’anticipazione di fatti che avvengono in un tempo successivo a quello della narrazione, è invece più ostica da comprendere, ed è infatti molto meno utilizzata nella narrativa: che vantaggi può mai apportare questa specie di “spoiler”?
Ebbene, la prolessi può dare una caratterizzazione peculiare al romanzo. Pensiamo a Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez, il cui incipit recita così:

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.

Iniziare un romanzo con un’anticipazione di una probabile futura morte del personaggio che ci viene appena presentato è fuori dalle righe, ma è perfettamente in linea con lo spirito del realismo magico, e soprattutto con la trama di Cent’anni di solitudine, che ha fatto della chiaroveggenza e del tempo irregolare il suo tema principale.

Quantistica letteraria

Quindi nella narrazione ci è concesso fare avanti e indietro nel tempo, ma possiamo anche rallentare e velocizzare a nostro piacimento.
Ciò serve non solo a far assaporare al lettore momenti e dettagli che vogliamo mettere in rilievo, ma anche ad “assuefarlo” alla storia.
Geniale è il modo in cui Ian Fleming, autore della fortunata serie di avventure di James Bond, adopera lunghe descrizioni di momenti irrilevanti per far empatizzare il lettore con il dinamico agente segreto: indugiare su James Bond che gioca a golf, che beve un drink, che fa cose comuni da uomo comune, e poi velocizzare la narrazione quando invece compie azioni eroiche come combattere contro uno squalo, fa scattare nella testa del lettore l’idea che James Bond sia un uomo come lui, la cui vita è simile alla sua per molti aspetti. Pertanto, se Bond riesce a lottare contro uno squalo, può riuscirci anche lui. In teoria, almeno. Da ciò segue che il lettore si lega simpaticamente a questo superuomo invincibile e non prova antipatia nei confronti della sua perfezione.

Si potrebbe dedurre banalmente che il tempo lento è dato da descrizioni lunghe e dispersive, mentre un tempo veloce si ottiene con l’azione. Ma sarebbe, appunto, una banalizzazione. Esistono descrizioni incredibilmente veloci e altre molto lente, e per capire come regolarsi e come dare il tempo giusto, bisogna sempre tener presente ciò che accade nella vita reale: quando una persona è rilassata, assapora ogni dettaglio, ogni particolare; quando è in pericolo e l’adrenalina le invade le vene, pensa a “scatti” e si muove velocemente, oppure può paralizzarsi dal terrore e veder muoversi le cose in maniera molto lenta, anche se è calata in un contesto dinamico e violento.

E al cinema, ovviamente

Il rallentamento della percezione, dovuto al terrore, è molto frequente nella cinematografia, dove si vedono spesso scene in slow motion su un campo di battaglia, giusto per citare un caso tipico.
Ma dunque, se non sono le descrizioni a rallentare il tempo, come si può diminuire o aumentare la velocità della narrazione? La risposta è solo una: grazie alla punteggiatura. Ecco perché libri come Fedeltà di Missiroli, che adottano uno stile fatto di periodi brevi per tutta la durata del romanzo, risultano piatti: troncano ogni sfumatura ritmica e musicale, non risultando affatto più “incisivi”, come vorrebbero.

E questo, lettori, è quanto di più breve posso dire sugli espedienti che permettono di controllare il tempo in una narrazione; e, naturalmente, per padroneggiare la tecnica non basta il mio semplice articolo. Più che altro ci vogliono determinazione, voglia di capire bene, costanza e… tanto tempo!

Sara

Ciao! Sono la fondatrice del blog letterario "Il pesciolino d'argento", amo profondamente i libri, l'arte e la cultura in generale.

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Una risposta

  1. Sergio ha detto:

    Periodi brevi e periodi lunghi, sì, sono d’accordo che un eccesso di periodi brevi generi piattezza ma… siamo bombardati da un esercito di “docenti” (o sedicenti tali) che ci invitano alla brevità sostenendo che il periodo lungo confonde e annoia il lettore. Su quest’ultima asserzione ho i miei dubbi: se il periodo lungo confonde il lettore lo fa non perchè sia lungo ma perchè, con ogni probabilità, è scritto male.