Il re delle volpi – Fiore Manni
«Non credo che sia una buona idea» provò a dire Marian.
Tu, la regina del so bad it’s good…
Bella, magnifica, senza un’età! Davvero, davvero, non mi ricordo quanti anni ha esattamente, mi sembra vada per i quaranta, ma gliene darei una ventina al massimo. Ehm… eh, eh, già, che è?, sono una fangirl di quelle ossessionate? Ma un po’ sì, sapete? Fiore Manni mi piace un sacco.
Ohi, piano, piano! Mi date addosso, mi credete pazza, mi credete una falsona? Avete subito adocchiato quella stellina solitaria, vi ricordate di Nel buio della casa… come mi permetto di dirmi fan di Fiore, è una presa per il culo totale, è l’umiliazione definitiva?
No, lettori, sono sincera e senza cattiveria, quando affermo che Fiore mi piace, e che mi piace tutto ciò che (pubblicamente, almeno) fa. Ma, sentite, espanderò questo discorso alla fine della recensione, avrete modo di capire meglio cosa penso senza annoiarvi da subito.
Ah, be’, fantastico, se sono tutta ’sta groupie, com’è che non ci sono cinque stelline? Lettori, sono una groupie, sì, però non sono una leccaculo: sono una groupie sincera. E il giudizio su Il re delle volpi, in estrema sintesi, è… è quello. In estrema sintesi! Vuol dire che c’è molto, molto di più, perciò non lasciatevi ingannare e non traete voi delle superficiali conclusioni.
D’accordo… ehm… era necessario? Se non hai niente di buono da dire, non dire niente, no? Vero, è una buona regola da seguire, quando non c’è da dare un contrappeso alle adulazioni, o quando non bisogna… correggere qualche stronzatina che potrebbe rivelarsi una scheggia impazzita, un pericolo per l’intelligenza. In effetti, mancano tali condizioni, a proposito del romanzo di Fiore: nessuno lo loda con le lodi che si riservano a politici e magistrati, e di sicuro non promuove eresie da sradicare.
Cos’ho da dire a mia discolpa, quindi?
Be’, dico che la colpa è vostra, lettori, se siamo arrivati a questo punto. Siete voi che l’avete voluto, Nel buio della casa vi ha rapiti. “Recensisci anche gli altri”, “ti prego”, “ah, ah”. Già, uno che poteva fare? Solo accontentarvi e cercare di non farsi coinvolgere. Neanche vi fate di libri, vi fate di autori, voi. Vi mandano fuori di testa, vi scatenano i sensi.
E poi, vabbé, sì, lo ammetto, non ho saputo resistere, pure a me mi ha rapita, Nel buio della casa. È stato troppo sfizioso, talmente sfizioso, che appena ho potuto mettere le mani su Il re delle volpi, oh man!, mi sono fatta. Cioè, mi sono fatta una full immersion nelle sue pagine. E vi giuro, vi giuro, non mi pento di un solo secondo di lettura.
Ma va bene, basta chiacchiere, basta tergiversare! Bisogna che vi racconti un po’ la trama, altrimenti non succederà nulla. Occhei, eccovi serviti!
L’anno è il 1899. Il luogo? Vice Cit… ehm, no. È l’Inghilterra vittoriana. Marian, la protagonista della nostra storia, ha appena compiuto diciotto anni. Dovrebbe esserne contenta, e invece è più infelice che mai: ha capito che, da quel momento in poi, tutto ciò che le farete sarà legale, l-e-g-a-l-e! Non è l’unica ragione, comunque: è che la attende un matrimonio combinato. Brutto affare. Il tipo, sì, è un uomo benestante, però è troppo diverso da lei. No, non è gay, è che lui è una specie di dandy, o qualcosa del genere, mentre lei è timida, introversa, amante dei libri.
Ebbene, la nostra Marian passeggia mogia nel giardino del suo promesso sposo, sciupandogli inavvertitamente le aiuole; a un certo punto, zac!, incontra una volpe parlante che porta al collo un medaglione. Essendo la cara vecchia Inghilterra di fine Ottocento, le urla di Marian attirano il suo fidanzato, il quale, come da procedura, spezza la colonna vertebrale della miracolosa volpe con una fucilata. Il cadavere, opportunamente conservato, viene poi inviato alla Royal Society, innescando accesi dibattiti sulla sua natura. Finché, un vigoroso Bertrand Russell, con una sagace battuta, riesce a convincere filosofi, naturalisti ed eruditi vari, che quella volpe parlante in realtà è solo un elaborato trucco di qualche hegeliano. Fine.
Ecco come sono andate le cose in un mondo possibile, non troppo diverso dal nostro. Il re delle volpi, però, non racconta di un mondo possibile e plausibile: solo di un mondo possibile. E così, durante quel primo incontro, la volpe parlante si presenta a un’entusiasta Marian. Dice di chiamarsi Macbeth, e, nonostante non sia in coppia col Gatto, propone a Marian un vero affare: le chiede di accompagnarla in un lungo viaggio a Faerie, tipo un pianeta fatato, o chissà cosa. Non aggratis, ovvio: in cambio, Macbeth promette che il suo padrone, il cosiddetto re delle volpi, esaudirà qualunque desiderio lei voglia. Qualunque! Oh puttana!, mica male come prospettiva! Marian vede finalmente una via d’uscita dal matrimonio combinato, perciò parte entusiasta all’avventura. Arrivata a Faerie, tuttavia, scopre che Aleister, il re delle volpi, ha ben altre faccende da sbrigare, e non ha tempo per esaudire il suo desiderio. Infatti, pare che Faerie e l’Altrove (questo il nome con cui i Sidhe… ma non dovrebbero essere i Faeriani?… ehm, il nome con cui i Sidhe, ovvero gli abitanti di Faerie, chiamano la Terra) siano minacciati da un potente mago, Feardorcha. Bella magagna, soprattutto per Marian: decisa a non sposare quel riccastro, la nostra eroina si mette in società con Aleister e Macbeth per fermare Mammaoca e salvare uomini e Sidhe. Che, poi, se avesse lasciato fare a Pelledoca, la Terra sarebbe stata distrutta, e comunque il matrimonio… mah…
Down the Bobbit worm hole
Occhei! Era quello che serve sapere sulla trama. Adesso entriamo nel vivo della recensione.
Uhm. Uhm, uhm. Uhm, uhm, uhm. Sapete che c’è? Ve lo confesso, che ci crediate o meno. Sì, mentre leggevo le prime pagine del romanzo, ero convinta che vi avrei sottoposto una recensione positiva. Da quattro stelle, minimo. Il motivo? Be’… è che la trama è molto, molto carina! Non avete di sicuro colto l’entusiasmo, perché ci ho messo tante cavolate delle mie, nel riassunto: ma le ho messe perché so già cosa vi aspetta, lettori. Però, però, di per sé, e intendo proprio nella sua struttura completa, la trama va benissimo.
Certo, non è una traccia che meriti una stele celebrativa… uh… è piena di cliché, di luoghi comuni abusatissimi. Si comincia con il classico “birthday beginning”; poi c’è la protagonista che è la tipica “shrinking violet”, la ragazzina timida che non ama stare al centro dell’attenzione; e poi c’è un bel “down the rabbit hole”…
Oh, quasi dimenticavo: ci sono innumerevoli “prestiti” (a partire dal titolo, che mi sembra sia già stato usato un paio di volte) da opere più o meno simili. E sia chiaro che il romanzo stesso non ne fa mistero, anzi, candidamente lo sottolinea. Non venga dunque in mente di considerarlo “scopiazzato”, un “plagio”, o chissà che altro: niente del genere.
Però sì, è banale, non ci piove. Ehi, chi ha detto che “banale è male”? Ah sì, giusto, alcuni colleghi, che hanno criticato Il re delle volpi solo sulla base di essere un prodotto “già visto”. Lungi da me, non metto in dubbio le competenze altrui, però non dobbiamo dimenticare che Il re delle volpi è uno young adult, e dunque si rivolge a un pubblico giovane. Non che i ragazzini siano dei decerebrati, tuttavia… diamine!, uno young adult è per sua natura un po’ un passatempo! E, per quanto intelligenti, i ccciovani non hanno tutta quell’esperienza che credono di avere…
Mi spiego meglio: le banalità possono essere un problema, se proprio vogliamo considerarle così, quando si rivolgono a un pubblico di adulti, i quali si suppone abbiano letto qualcosa in più della guida tv, e pertanto… potrebbero annoiarsi facilmente? Anche quando c’è un intento didascalico, soprattutto se moraleggiante, le banalità non sono troppo gradite. Ogni riferimento a La Malnata e a Galiano è puramente frutto della vostra immaginazione.
Va bene, lo young adult. Se opta per tale genere, l’autore non deve preoccuparsi eccessivamente di scovare topoi nuovi e stupefacenti, piuttosto dovrebbe sforzarsi di utilizzare i topoi giusti, quelli capaci di far sentire compresi e a proprio agio gli irrequieti giovincelli. Eccallà, i topoi scelti dalla nostra Fiore pasticciona sono… sono giustissimi! Ma sì che lo sono, in essi si manifestano temi universali: il birthday beginning sottolinea il “traumatico” distacco dal nido famigliare; il personaggio shrinking violet rappresenta il senso di inadeguatezza vissuto da molti adolescenti; e il down the rabbit hole… be’, vi basti sapere che questa specie di tunnel, in cui ci si deve infilare per arrivare in un mondo nuovo, è da molti considerato addirittura come una metafora del… canale… vaginale… attraversato dal bambino durante il parto. Ehm, può essere interpretato come un passaggio che porta a una seconda nascita, ecco. Una nascita non più fisica, bensì psicologica.
Non volevo dare quattro stelle soltanto perché ben disposta da un buon campionario di luoghi comuni. Anche lo stile reclamava, e reclama tuttora, una valutazione positiva. Oh, non so dirvi se è perché Fiore stavolta ha fatto da sé e non si è rivolta a un editor, o se è perché invece ha cambiato editor, o se è perché ha destituito suo marito, Comic Book Guy (perdonami, Michele, non ho resistito… fai lo sceneggiatore di fumetti, e… scusa, scusa), o ancora se è perché vengo dalla lettura di Baricco… fatto sta che lo stile de Il re delle volpi mi è piaciuto. Molto. In particolare, ho apprezzato il modo in cui Fiore è riuscita a caratterizzare e a raccontare i personaggi: l’ha fatto (e non importa se, magari, “ispirata” da qualcuno) in maniera sottile, senza ricorrere agli spiegoni. Ottimo. Volete un esempio? Allora leggete questo brano:
L’idea che Marian potesse un giorno rimanere zitella tormentava la signora Crawford da moltissimo tempo. […] Una volta in carrozza sulla via del ritorno, mentre Margaret ed Elizabeth [sorelle di Marian] cicalecciavano in preda all’eccitazione facendo a gara su chi avesse ricevuto più inviti, la signora Crawford ebbe una rivelazione: Marian era inequivocabilmente scialba e insipida, come una minestra con troppa acqua e poco sale.
A una prima occhiata, un brano simile non sembra descrittivo, ma… in realtà lo è. Ci consente, infatti, di farci un’idea piuttosto precisa a proposito della signora Crawford. Solo da quelle poche righe, capiamo che la madre di Marian non è un personaggio negativo. Organizza un matrimonio combinato non perché ha la personalità di un’arrampicatrice sociale (al contrario della madre di Rose, in Titanic), ma perché vuole impedire a sua figlia di rimanere “zitella” e trovarsi (almeno, è questa la sua opinione) in difficoltà. La signora Crawford, dunque, non è una cattiva madre, semmai è un po’ di corte vedute: non riesce a immaginare che Marian non socializza con gli uomini perché ha a cuore altri interessi, e conclude che il problema sia che sua figlia manca di personalità. Pure il termine di paragone che la signora Crawford sceglie per definire Marian (“minestra con troppa acqua e poco sale”) rivela un interessante aspetto psicologico: la donna è il classico angelo del focolare, il cui principale scopo è di occuparsi della casa e della prole. Paragonare la figlia a un problema tipicamente casalingo (una pietanza sciapa), dimostra quanto sia ristretto il mondo dall’ottica del personaggio.
Un altro bell’esempio riguarda Macbeth, la nostra volpe magica. In realtà, dovete sapere… e magari è un po’ uno spoiler, ma ve lo faccio lo stesso… dovete sapere che, più avanti nella storia, si scopre che Macbeth non è un lurido canide col pelo sporco delle proprie feci. È un ragazzino, col pelo sporco delle proprie feci. Ah, e ha anche orecchie e coda di volpe (che è anche peggio delle feci fasulle, mi sa, è una specie di… barely legal furry?!).
Ora, trattandosi di un ragazzino, Macbeth è un personaggio esuberante, iperattivo e incontenibile. E Fiore riesce a rendere perfettamente il carattere del personaggio, inserendo numerosi action tag nei dialoghi fra lui e Marian:
«Perché sei dovuto fuggire dal palazzo?»
Macbeth si grattò pigramente un orecchio con la zampa posteriore.
«Veramente non ne ho idea. […]»
«Bene, e adesso che si fa?» chiese impaziente Marian.
Macbeth, sovrappensiero, provò a leccarsi la zampa fasciata.
«Come prima cosa dobbiamo trovare del cibo. Non mangio da ieri e sto morendo di fame. […]»
«Questa medicina puzza…» disse la volpe poco convinta mentre si annusava la fasciatura nuova.
Macbeth le zampettò attorno, annusando l’aria.
«Non ne sono sicuro» ammise dubbioso.
«In che senso non ne sei sicuro?»
La volpe si sgrullò via l’acqua dalla pelliccia.
Vi ricordate degli action tag, no? Ecco, la nostra “so bad, it’s Fiore” se ne serve in maniera intelligente, riuscendo a ritrarre con precisione un comportamento tipico dei bambini: il risultato, neanche a dirlo, è un personaggio molto credibile, e per il quale si prova facilmente empatia. Ma ehi, checce possiamo fà? Di Fiore dicono che nun sa scrive, mentre cianno sempre a lodà a Erri De Luca. Ma tu guarda ’sti recensori, ahò!
Be’, ma che diavolo sta succedendo?! La recensione vi sta proponendo soltanto apprezzamenti… che, l’ho fatto a voi lo scherzo, lettori?
No, purtroppo.
L’ultimo dei miei cani
È che, come ho anticipato, Marian e Macbeth arrivano a Faerie. E, a quel punto, il libro impazzisce.
Cioè… vedete… praticamente… allora, Fiore sposta la narrazione in un mondo magico, occhei? E prende a confondersi, occhei? E poi si perde del tutto, scatenando il puro caos, occhei?!
A discolpa della nostra amabile autrice, devo ammettere che non è affatto facile ambientare una storia in un mondo magico. I mondi possibili sono sempre una grana, e non solo dal punto di vista filosofico. Ho detto in precedenza che un mondo possibile non deve per forza essere un mondo plausibile, tuttavia deve essere almeno un mondo coerente. E se si vuole la coerenza, be’, occorre farsi un mazzo così sul worldbuilding. Cioè: l’autore deve sapere perfettamente (relax: deve sapere meglio che può) come funziona il “suo” mondo, e intendo sotto ogni punto di vista. Fisico, geologico, biologico, economico, storico, politico, sociale… avete capito.
Giusto per non fare esempi cervellotici (e triti), tipo Dune, Il Signore degli Anelli o i libri di Bruno Vespa, vi invito a considerare Atto di forza, di Paul Verhoeven. Il film, esatto: so che è tratto da Ricordiamo per voi, di Philip Dick, ma è “liberamente tratto”, perciò può essere esaminato come opera a sé. Ebbene, Atto di forza non si limita a dirci che “ué, ci sta una colonia su Marte”, ci catapulta nella crisi sociale al suo interno, fa riferimenti a pregressi eventi storici (fittizi, ovviamente), delinea gli obiettivi delle varie fazioni, propone cause credibili che giustificano il comportamento di ogni personaggio. Ci è concesso un piccolo scorcio del mondo di Atto di forza, eppure è uno scorcio coerente, completo e dettagliato, il quale ci permette di intuire la coerenza, la completezza e la… dettaglità… dettagliosità… vabbè, la complessità dell’intero cui appartiene.
Ecco, con Faerie… mmmh… è che… allora, non posso dire che manchino i dettagli, assolutamente. Il punto è che mancano gli elementi fondamentali, importanti, quelli senza cui un worldbuilding non è un worldbuilding.
Per dirne una, c’è questo re delle volpi, vabbuò? Eh… però non c’è modo di capire come cazzo è strutturata la società del regno delle volpi! No, lettori, non voglio dire che è tutto troppo complicato, né che si tratta di una società talmente aliena, rispetto alle nostre, da risultare inconcepibile. No, voglio dire che in tutto il romanzo, IN TUTTO IL ROMANZO!, compaiono solo tre volpi! Oh, ve lo giuro: ci sono Macbeth, il re e… e un altro re, il predecessore di Aleister, che tra l’altro dura il tempo di una scorreggia e poi muore. Dei comuni villici volpe conosciamo solo alcuni nomi, sappiamo che sono scappati via quando è arrivato ’a coso, Fettuccia come cacchio si chiama, e possiamo essere sicuri che stanno bene. Insomma, forse:
«Continui a non rispondermi, Aleister» lo riprese anche Macbeth con aria infelice. «Quando torneremo a casa? Pensi che gli altri saranno al sicuro?»
«Gli altri?» intervenne Marian.
«Le altre volpi. Amleto, Ariel, Ofelia, Lear…» spiegò Macbeth.
«I miei servitori» aggiunse Aleister. «Sono tutti fuggiti da palazzo prima dell’attacco. Stanno bene, Macbeth.»
E quello era l’unico… L’UNICO!… brano in cui sono menzionati dei nomi di volpe! Cioè, Fedora vuole attivare una bomba atomica o chissà che altro, ha già fatto una marea di guai in lungo e in largo per Faerie, ha… ehi, stop worrying bro!, those fucking foxes are fine, leave them the fuck alone!
Lettori, cerchiamo di fare i seri. Che cosa abbiamo appena visto? Abbiamo visto un romanzo che si concentra su un paio di personaggi e tralascia tutto il resto. Questo cosa vi fa venire in mente? Macché “pranzo”, che diavolo?! No: vi fa venire in mente i chick-lit. Ma certo, ricordate Ricco sfondato? Il protagonista chaddone ricopre un ruolo eminente, è al centro di grosse situazioni, muove un sacco di fili, e… e mai che si sappia nulla degli affari che fa, di come è strutturata l’azienda, di come si comporta quando è a cena con i mafiosi che gli permettono di guadagnare. Quanti rosa, quante commedie romantiche hanno come protagonista un principe, un dirigente d’azienda, un ceo, senza che però si parli mai di bilanci, di pil, di tasse e di altre cose barbose? No, sul serio, quanti? Cinqucento? Un milione? Vabbè, controllerò. Quel che adesso importa, lettori, è che vi sia chiaro il motivo per cui il genere è strutturato in tal modo: non si tratta di sciatteria, è che la fiction rosa mira a stimolare la libido femminile, e alla libido femminile interessa solo che il protagonista sia un capo, un “alpha” (sì, col “ph”, ovvio: da “murican”, no?), non gliene frega un tubone di come funzionano in effetti un regno o un’azienda.
Pertanto, potete trarre la conclusione da soli, se Il re delle volpi fosse stato pubblicizzato come un inoffensivo chick-lit del menga… sì, probabilmente avrei fatto delle perculatine, ehm… però non l’avrei menata più di tanto col worldbuilding. Epperò, porcaccia la zozza, le altre recensioni del libro (pure quelle negative!) non fanno altro che lodare proprio il worldbuilding! Gente, che vi fumate?! Cioè, il romanzo si intitola “Il re delle volpi”, e Fiore si è dimenticata tutti i sudditi! Che, forse a insaputa della sua autrice, Aleister ha barattato il suo regno per un cavallo (già c’è Macbeth, Riccardo III poteva accompagnare solo)? E per tutta la storia se ne sta contento col suo cavallo, e quei poveri stronzi volpe che vadano affangoolo?
Embè, ma te che voi?! Stacce. Esatto, non sapremo mai se le volpi serve della gleba considerano i loro sovrani dei Savoia o dei Windsor (cioè dei Sassonia-Coburgo-Gotha, crucchi del cavolo). Non sapremo mai se i furry regnanti sono in tale posizione perché sono più forti rispetto ai popolani. Manco sapremo se ci sono altri titoli nobiliari, se ci sono le caste, o se ’ste volpi sono anglicane. Che poi, essendo volpi ed essendoci un passaggio tra Fairie e l’Inghilterra, potrebbero davvero essere… angli… cani… eh, eh, eh… ehm.
A(h)i (c)azzone, guarda cosa ti dà!
Comunque, tutte quelle interessantissime informazioni che non riceveremo mai sono degnamente sostituite da informazioni… strampalate… su… altre… cose.
Ad esempio, Fiore ci mette a parte di un dettaglio notevole. Quando ancora si trovano nell’Altrove… cioè in Inghilterra, uhm… Macbeth spiega a Marian che le creature magiche non patiscono la fame a Faerie, tutt’al più mangiano solo per soddisfare un capriccio:
«Come prima cosa dobbiamo trovare del cibo. Non mangio da ieri e sto morendo di fame. Davvero, Marian, potrei svenire da un momento all’altro! A Faerie non abbiamo bisogno di nutrirci, abbiamo la magia per quello. Lo facciamo più per diletto che per necessità, ma qui nell’Altrove è tutta un’altra faccenda.»
Non è tutto: a un certo punto, Aleister fa comparire “per magia” del cibo per Marian, e le aggiusta pure l’abito strappato, con una semplice pacca sulle spalle…
Marian mangiò arrabbiata la cena che si materializzò per magia nella sala da pranzo del palazzo […].
La gonna era ancora strappata lì dove la fata l’aveva afferrata, mettendo parzialmente in mostra la sottana.
Aleister sembrò notarlo. Senza dire niente, le picchiettò con gentilezza su una spalla e il suo vestito iniziò a cambiare sotto ai suoi occhi. Il modello era rimasto lo stesso, ma la stoffa adesso era più elegante, senza pieghe, macchie e… senza più traccia dello strappo.
Va bene, va bene, abbiamo capito: i Sidhe non hanno le stesse esigenze fisiologiche degli umani, e quand’anche le avessero, non dovrebbero certo sbattersi per soddisfarle, essendo loro… uh… degli esseri magici. Ovvia è l’implicazione di ciò, l’economia di Faerie deve proprio essere molto diversa da quella terrestre. In particolare, non dovrebbero esistere i venditori, i compratori, le banche centrali, i broker, la pubblicità, l’inflazione… il denaro… il denarooooooo! Ma certo!, non avrebbe alcun senso che si vendesse del cibo, in un luogo in cui nessuno ha fame; e parimenti non avrebbe alcun senso che si vendessero abiti, essendo sufficiente una pacca sulla spalla per rammendarli.
Giusto, lettori? Be’, preparatevi a un gigantesco dito medio su per il vostro [CENSURATO], perché Fiore, a un certo punto, vi spinge a forza in un… mercato rionale! Incredibile, eppure… guardate qui:
Doveva trattarsi di qualche tipo di mercato, perché oltre alla folla di Sidhe, c’era un gran numero di bancarelle e carretti […].
Ancora una volta una fata le si parò davanti con il suo carretto, bloccandole la strada.
«Una pozione, fanciulla? Per far cadere ai tuoi piedi il tuo innamorato? È piena di potere delle leannán shee.»
[…] Superarono banchetti colorati pieni di chincaglieria di ogni tipo, di frutta fluttuante e di stoffe che gracchiavano come uccelli se qualcuno ci passava troppo vicino.
Ma LOL, cazzoooo! Non soltanto c’è un mercato, ma è pure un mercato dove vendono pozioni magiche! Le vendono alle creature MAGICHE! Fiore, dannazione!, non dovevi prendere l’espressione “vendere ghiaccio agli Eschimesi” come un assioma economico, è solo un modo di dire!
Occhei, serietà, cerchiamo di capire che cacchio è successo, dando per scontato che Fiore non sia un bug nella simulazione in cui viviamo. Chiarisco subito, per chi non ne avesse idea: il mercato pieno di oggetti fantasiosi e stravaganti non è una cavolata a caso, è un altro topos, il cosiddetto “bazaar of the bizarre”. Ed è un topos comunissimo, per i fantasy. C’è una buona ragione, per tale popolarità: il bazaar of the bizarre è un valido espediente con cui l’autore può offrire al pubblico una panoramica del mondo possibile, panoramica veloce, sì, ma anche completa e informativa. Descrivendo un mercato, infatti, l’autore concentra in poche pagine una gran quantità di personaggi, di oggetti, e di situazioni, tanto che il pubblico, a colpo d’occhio, può farsi un’idea abbastanza precisa di come funziona il mondo in cui è capitato. Perché è (anche) questo che si vuole ottenere, con un fantasy, no? Certo, ci sono altri espedienti narrativi, il cui effetto è identico a quello del bazaar, ma quest’ultimo è sempre un “grande resa, piccola spesa”, pertanto… eh.
Ora, Fiore, che è sicuramente un’appassionata e attenta lettrice, deve aver notato il bazaar of the bizarre far continuamente capolino, e quindi… avrà pensato di mettercelo pure lei, ne Il re delle volpi. Perché no? In effetti, avrebbe potuto funzionare… se solo la nostra autrice avesse adattato il topos alla sua trama, o viceversa! Invece no, lo introduce e basta. Con le caotiche conseguenze che abbiamo visto. Il punto è che il mercato immaginato da Fiore, con i suoi frutti stravaganti, le stoffe gracchianti e le pozioni magiche, è una cosina buona per Hogwarts, ma che non si adatta per niente a Faerie.
“Ma Sara, Hogwarts è una specie di Animal House per secchioncelli magici, e a Faerie ci vivono i furry magici, che cacchio cambia?”, mi domandate. Oh, lettori, c’è una differenza enorme, invece: la magia. Sì, proprio la magia: cioè, la natura della magia. Hogwarts, diremmo noi italiani, è popolata da maghi: bene, ma gli anglofoni direbbero che lì ci vivono (soprattutto) dei “wizard”, ossia gente che ha bisogno di studio e di pratica, per imparare a padroneggiare le arti magiche. È dunque credibile che i wizard, i quali non possono (in ogni momento e circostanza) utilizzare la magia con facilità, abbiano interesse ad acquistare pietanze, mezzi di trasporto e pozioni magiche già pronte all’uso. Un po’ come noi preferiamo acquistare una torta in pasticceria perché prepararla in casa richiede troppo tempo e fatica, e poi magari siamo pure dei casinari con le dita a salsiccia (non ho voluto fare l’esempio di “acquistare un esame all’università”, perché poi i magnifici rettori mi fanno il culo, come successo a Fedez e a J-Ax).
E Faerie? Ah-ah, a Faerie non vivono i wizard, ci vivono i “sorcerer”, ossia creature magiche dalla nascita, che non necessitano di alcun apprendistato, così come noi non necessitiamo di corsi per imparare a vedere i colori. In teoria, e questo a prescindere da qualunque loro bisogno individuale (e Fiore addirittura si preoccupa di spiegarci che non si devono nutrire… sigh!), ai sorcerer non serve nulla, se non hanno “tare genetiche” e la loro magia è sviluppata. Perciò, se proprio era il caso di inserire un mercato (e quindi una situazione economica di domanda e di offerta), Fiore avrebbe dovuto porre seri limiti alla magia. Eggià. È infatti solo limitando la magia che si possono instillare dei meccanismi economici nella storia. Poniamo ad esempio che ciascun Sidhe possieda un solo e specifico potere magico: uno ha soltanto il potere di creare abiti perfetti e che calzano sempre a pennello, un altro sa solo teletrasportarsi, un altro ancora è capace solo di memorizzare qualunque cosa, e così via. In una tale situazione, il mercato avrebbe sicuramente ragion d’essere, perché i Sidhe non basterebbero a sé stessi, bensì dipenderebbero dagli scambi, per soddisfare bisogni (se ne hanno, e sarebbe bene ne avessero alcuni) o semplici capricci. Certo, ci sarebbe magari il problema dei monopolii, ma ehi, potrebbe essere un bello spunto su cui ricamare.
Nah, sticazzi. Niente del genere, i Sidhe non devono andare di corpo e possono magicamente fare quello che gli pare. A questo punto, perché diavolo hanno un mercato? L’unica risposta sensata che mi viene in mente è che a Faerie odino i comunisti, e che pertanto vogliano far capire senza fraintendimenti che Marx, lì, non è il benvenuto. E quale modo migliore, se non di mettere in scena degli inutili mercatini, in cui si manifestano il capitalismo e l’avidità nella forma più pura?
Unlimited powaaaaaaaa!
Vabbè, difettuccio scusabile? ’Nzommma… dal punto di vista tecnico è una bella rogna. Ma lasciamo comunque perdere ’sto mercatino, perché la mia osservazione sui limiti della magia mi consente di intavolare un discorso dai contorni più ampi, che vadano al di là del solo worldbuilding. Oh sì, la trama tutta de Il re delle volpi avrebbe beneficiato di una certa continenza, da parte di Fiore.
Sappiamo, infatti, che le trame ruotano attorno ai conflitti e alle sfide che il protagonista deve affrontare e domare. Ebbene, se l’eroe può ricorrere con facilità alla magia per risolvere i suoi cazzi… eh… che fine fa la storia? Fa la fine del topo, ovvio. Se il fighetto di turno, stile (appunto) Topolino, o Steven Seagal, ha poteri illimitati e sostanzialmente può fare l’impunito quanto gli pare, che sfida potrà mai esserci?!
D’accordo, vi serve un caso esemplare semplice semplice, che illumini la situazione.
Pensate ad Aladdin. Se il Genio della lampada non avesse avuto alcun limite ai suoi poteri, e avesse potuto, che so, far innamorare e far morire le persone, Aladdin non avrebbe dovuto faticare per riuscire a s… sposarsi Jasmine, e Jafar avrebbe visto le proprie pudenda avvizzirsi on the spot. E noi? E noi ci saremmo beccati un cortometraggio di circa… uhm… dieci minuti, ad andar bene. Arcicacchio, sarebbe stato un floppone colossale, capace di affossare la Disney trentun anni prima de La sirenetta con Halle Berry. No, aspè, Halle Berry è quella che ha affossato la carriera da regista di Pitof. Come si chiama quell’altra? Halle Bally, Halle Boldi… boh, vabbè.
Avete capito l’antifona, eh? Per correttezza devo segnalare che in effetti, qualche volta, Fiore tenta di limitare i poteri dei suoi personaggi.
Per dirne una, le volpi non sembrano capaci di spostarsi da un luogo all’altro con la magia, tant’è che sia Macbeth sia Aleister devono ricorrere a un oggetto straordinario (probabilmente rubato a Dumbo), la “piuma del viaggiatore”. Che fa questa piuma? Permette di teletrasportarsi, ovvio:
«Macbeth, cosa succede?» chiese Marian preoccupata quando lo raggiunse.
Il ragazzino sembrava sul piede di guerra.
«Sto cercando di convincere questa fata a venderci qualcosa [LOL, “shut up and take my money”?!] per tornare subito a palazzo» disse spazientito.
«Dove andiamo?» chiese, cercando di sembrare disinvolta.
Aleister sorrise, poi soffiò sulla piuma dorata, facendola librare in volo.
«Nella mia tana!»
Bene, peccato che… oh no, di nuooooovo! Fiore, dopo un po’, si dimentica delle costrizioni che lei stessa ha posto, frantumandole bellamente. E dunque, di punto in bianco, vediamo Aleister che prende ad aprire portali per raggiungere in un battibaleno i quattro angoli di Faerie! Ed è in un tale stato di eccitazione, che addirittura ne apre uno dopo l’altro, quasi fosse diventato una specie di mitragliera spara-stargate:
«Sta’ a vedere» disse soddisfatto Aleister.
Gli bastò un solo schiocco delle dita, e le lettere iniziarono a muoversi, rincorrendosi lungo la parete, come se avessero una volontà propria. Ben presto, le scie lasciate sull’intonaco assunsero dei contorni familiari, e Marian riuscì finalmente a riconoscere la forma intricata che si stava delineando davanti ai suoi occhi.
«Un… portale?»
Aleister annuì soddisfatto.
«È un ingresso. Vieni, stiamo per incontrare un mio vecchio e decisamente pericoloso amico. Sto per portarti nell’Ognidove.»
Erano in trappola e per di più in netto svantaggio.
Marian si sentì sprofondare, ma la sua mente lavorava spedita. Dopotutto avevano la magia di Aleister dalla loro, potevano ancora uscire vivi da quel pasticcio.
«Pensi di riuscire a creare una di quelle tue porte per scappare?» gli chiese.
Aleister si guardò fugacemente attorno, poi annuì.
«Presto, Aleister, abbiamo bisogno di un nuovo portale!» esclamò Marian con una certa urgenza.
Aleister la prese per mano e ricominciò a correre. Si diresse verso un edificio, evocando con la mano libera un nuovo passaggio. […] Aleister ricominciò a correre verso il fondo dell’enorme sala fatiscente. Agitò la mano e sul muro di fronte a loro comparve, in fiamme, un’altra porta. […] Nel muro davanti a lei, dove Aleister stava già facendo bruciare l’incantesimo per un nuovo passaggio, si conficcò un pugnale nero. […] Sulla sabbia aveva già iniziato a bruciare un nuovo incantesimo e Marian vi precipitò dentro. […] Si tuffarono dentro un caminetto acceso, dove si stava creando un nuovo passaggio. […] L’ultimo portale li trasportò in mezzo a delle cascate. […] Un nuovo incantesimo bruciò lungo la parete di pietra appena accanto a loro, giusto in tempo, e Marian e Aleister vi si tuffarono dentro, seguiti da Feardorcha.
Ma… ma… e la piuma magica, che fine ha fatto? Mo’ Aleister la usa per solleticarsi, assecondando una specie di feticismo? A che cazzo serviva, se poi tanto il nostro re si rivela capace tirare fuori dal sedere portali su portali?!
Li avete visti, sulle riiiiiive del fiuuuuume…
E non è finita qui. Vorreste che fosse finita, invece no. La capacità di Aleister di spostarsi non è l’unico… “limite”… che Fiore prova a gestire. In verità, la nostra simpatica autrice fa spesso una gran confusione con le doti sovrumane dei suoi personaggi, finendo ora per smorzarle, ora per ampliarle a dismisura. Il risultato è un’involontaria, ed estremamente esilarante, carrellatona di sensi, controsensi e nonsensi.
Ecco un’altra chicca. Nella battaglia finale contro Finocchia, Aleister sembra in difficoltà, a causa di una tempesta. No, non è che ha dimenticato l’ombrello: vedete, le volpi possiedono il potere del fuoco, e perciò, va da sé, l’acqua gli garba poco…
Un nuovo fulmine si abbatté sul ponte, poco distante da loro.
«La mia [intende la sua capacità magica, non una particolare magia eseguita sul momento] è una magia di fuoco e noi volpi non andiamo molto d’accordo con l’acqua…» disse Aleister con una smorfia infastidita. «Per questo il vigliacco ha scatenato una tempesta!»
“Vigliacco, vedrai come sarà facile spaccarti la faccia!” (cit. Dreamland – La terra dei sogni), eh, eh, eh. Oh. Allora… occheeei, faaaaaain… but, no. Innanzitutto, Aleister fa un sacco di toste magie che non c’entrano nulla con “la magia di fuoco”, ad esempio… rammenda vestiti… uhm… vola. Poi: fino a al momento raccontato nel brano, Aleister non ha mai, mai, mai, MAI!, dato a intendere di avere problemi con l’acqua… infatti, abbiamo visto, in precedenza è detto perfino che Aleister si teletrasporta “in mezzo a delle cascate”! No problemo, boys!, apre immediatamente un nuovo portale…
Ciliegina sulla torta, terminata la battaglia, leggiamo che Aleister RIDE, quando cade in acqua, e Macbeth addirittura si tuffa come fosse all’acquapark:
Entrambi finirono in acqua, riemergendo dall’altra parte, sulle sponde del lago. Si guardarono, sfiniti ma raggianti, e iniziarono e [sic] ridere, senza riuscire a smettere.
Macbeth, che nel frattempo era saltellato tra le rovine del ponte fino a raggiungere un’altezza da cui si sentiva sicuro, spiccò un balzo, tuffandosi anche lui nel lago, spruzzando acqua da tutte le parti.
Prendete appunti, lettori. Pioggia: no bueno; cascate e pozzanghere: jackpot!
E questo è ciò che riguarda le volpi. Ah… cosa?! Lettori, lettori, a Faerie (non) ci sono le volpi, c’è un re delle volpi, ma… ma non ci sono solo volpi. Esistono anche altre razze. O specie. O quello che è. Comunque, tra i Sidhe, ci sono anche i nani. E quando il romanzo si mette a parlare dei nani, e del regno dei nani, succede che il trio Marian, Aleister e Macbeth decide di far visita al re dei nani, Ord. Perché lui ha il biliardo e l’abbonamento a Netflix, dite? Forse, ma il motivo ufficiale è metterlo in guardia da Fernovus©. Va bene, Marian e i suoi amici sono costretti a farsi una lunga scarpinata, perché, dovete sapere, nel regno dei nani la magia per trasportarsi non funziona proprio, niente, nisba, nada de nada. Infatti…
[…] l’unico modo per presentarsi al loro cospetto è quello di bussare direttamente alla loro porta di casa e passare una miriade di controlli. Poss[iamo] arrivare fino all’ingresso del loro regno, ma da lì in poi dovremo raggiungere il palazzo a piedi.
E questo inconveniente è…
«Ovvio. Per evitare qualsiasi tipo di ruberia, nell’antichità i nani hanno incantato l’intero regno, vietando qualsiasi tipo di magia che permettesse ai Sidhe di viaggiare, di materializzarsi e di spostarsi. Sono stati banditi persino i portali. Quel tipo di magia qui non funziona.»
Nulla da obiettare: nel regno dei nani ci si muove a piedi, è la regola. O, se proprio proprio, al massimo con cavalli e carretti. Ehi, bella idea, perché non… vabbé, ehm: Pidocchio batte i tre sul tempo, uccide un po’ di guerrieri nani… no, cioè, di nani guerrieri… Aleister lo raggiunge ed è a questo punto che Piumadoca decide di levare le tende. Corre a più non posso, sculaccia il suo cavallo, inventa sul momento il motore a vapore? Nope. Si smaterializza:
Il suo corpo si era tramutato in fumo nero […].
«Temo che ci rincontreremo, Re delle Volpi» disse il mago rivolto ad Aleister, mentre il viso pallido e spigoloso dagli occhi rossi si dissolveva nell’oscurità.
«Temo anche io» mormorò Aleister.
Un vento innaturale si levò e il mago tramutatosi in fumo si disperse nell’aria. […] Feardorcha si era dissolto nell’oscurità.
Che c’è? Ah, dite che la magia riguarda solo il “materializzarsi”, l’azione opposta è esclusa? MA DAAAAAI! È chiaro come il sole che Fairplay si serve di un proibitissimo incantesimo di trasporto che non dovrebbe funzionare. E invece funziona! E… d’accordo, sentite, ammettiamo pure che il cattivone possa infischiarsene della coerenza e tutto quanto… ma i nostri eroi non dovrebbero essere un minimo sorpresi, non dovrebbero interrogarsi su come sia possibile che il bietolone sia riuscito a evitarsi la scarpinata?! Dovrebbero, e invece se ne fottono! Oh, è vero: subito dopo essere stati gabbati, Marian & Co., tutti di buon cuore come la loro autrice, si concentrano esclusivamente sui corpi dei nani uccisi in battaglia! Pezzi de nani de qua, pezzi de nani de là, chi cià vojia de pensà ’a l’asurdo che sta a capità? E… incredibile… in tale scena, già sbagliata di suo, è nascosta un’ulteriore, colossale cazzatona:
«Siamo arrivati troppo tardi» mormorò Marian.
[…] «I nani non sono dei maghi, sono dei guerrieri. È stato uno scontro impari. Uno scontro vigliacco» confermò Aleister.
LOL wut? “I nani non sono dei maghi”?! Ma se Il re delle volpi ci spiega che sono stati proprio loro ad aver “incantato l’intero regno”! Fioreeeeeee?! Sono capaci di lanciare incantesimi, perché non sono dei maghi?! Le volpi sono razziste e non vogliono ammettere che i nani hanno pari diritti e pari dignità, rispetto a loro? C’è forse un casino con la traduzione, e noi diciamo “nani”, sì, ma il corrispettivo inglese non è “dwarves”, bensì “midgets”?! Allora dovevi usare l’espressione “uomini di bassa statura”, non “nani”! KA-BOOOM!
Scusate, era il mio emisfero cerebrale sinistro che ha optato per l’autodistruzione. Ah, ma, tranquilli, riesco ancora a intuire l’obiezione che volete sottopormi: Fiore scrive che i nani hanno incantato il loro regno “nell’antichità”, perciò può darsi che i nani, con l’evoluzione, abbiano perso i poteri dei loro antenati preistorici. Bella spiegazione, ci avevo pensato anch’io. Però non funziona. Non funziona, prima di tutto, perché non è una spiegazione: siamo noi a dover fare il lavoro sporco, inventandoci una teoria capace di tenere insieme i pezzi del romanzo. Ma il testo, di fatto, non si sbilancia, non suggerisce nulla, nemmeno a denti stretti. La nostra potrà piacerci, tuttavia rimane una teoria e basta, fondata sul nulla.
Tranquilli, l’altro motivo per cui abbiamo fatto un buco nell’acqua è l’ennesima mazzata di Fiore. Successivamente ai fatti che abbiamo esaminato, scopriamo che la principessa dei nani fa una promessa: promette che, quando sarà regina, la politica dei trasporti… cambierà… damn!… e addirittura leggiamo che Macbeth invita re Ord ad anticipare le riforme:
«Questa non tanto brillante intuizione dei miei avi ha reso il regno sì più sicuro, ma decisamente più scomodo da visitare. Non abbiamo mai ospiti» commentò imbronciata la principessa. […] «Quando sarò regina tutto cambierà» annunciò la principessa, mentre il padre rimaneva in silenzio, riluttante.
«Dovreste davvero rivedere questa vostra politica sui trasporti, seriamente… Non è per niente comoda» insistette Macbeth.
Quindi… deduciamo che la principessa e il re dei nani non sono impotenti di fronte all’incantesimo dei loro avi? Uh!
E allora, se possono utilizzare la magia, perché cazzo non la usano, aiutando Marian & Co., salvandosi la pelle e migliorando il pil (che non dovrebbe nemmeno esistere) del loro regno?!
Pooper
Ah, giusto, la vecchia storia. Poiché uso sempre come metro film e serie cult, be’, giustamente mi fate notare che anche quelli sono pieni di errori. Eppure, nessuno li prende in giro, al contrario di quello che sto facendo io con Il re delle volpi. Ora, a parte che il mio è un omaggio, e non una presa in giro… ehm… sì, è vero, avete ragione. Lo strapiombo magico di Jurassic Park, la colazione-cena de I predatori dell’Arca perduta, il femore che diventa una tibia di 2001: odissea nello spazio, gli episodi di Dr. House.
Però, però, però. Non tutti gli errori sono creati uguali, sapete? I blooper, che ho appena menzionato, sono in sostanza errori che riguardano elementi di scarsa importanza, tant’è che nemmeno ci accorgiamo di essi. Come è possibile? No, non si tratta solo di una questione fisica, nel senso che l’occhio non coglie gli svarioni perché la pellicola scorre troppo veloce: infatti, blooper analoghi, per natura e per effetti sulla nostra psiche, esistono anche sulla carta stampata, come i peperoni de Il nome della rosa, il primo che mi viene in mente. Vedete, lettori, è che, quando seguiamo una storia, la nostra attenzione è quasi del tutto concentrata sulla natura, sulla definizione, dei personaggi e dei fatti principali.
Cerco di essere più chiara. Non saremmo particolarmente turbati se Ian Malcolm, il matematico di Jurassic Park, indossasse una maglietta blu quando poco prima ne indossava una rossa; ma la nostra sospensione dell’incredulità sarebbe irrimediabilmente compromessa, se Ian dicesse una serie di palesi stronzate matematiche, dopo essere stato descritto come “matematico caosologo”.
Altro esempio, leggermente diverso: se nella camera di Timmy Turner, protagonista della serie Due fantagenitori, comparisse un portamatite assente in tutti gli altri episodi, non ci baderemmo, ma ci accorgeremmo senz’altro se il suo cappellino rosa fosse inspiegabilmente blu.
In breve, giudichiamo errori “imperdonabili” (ma non in senso stretto, tranquilla, Fiore) le incoerenze che riguardano la definizione dei personaggi e degli eventi principali. Poiché Ian Malcolm è definito dall’essere un matematico, e non dall’essere “il tizio con la maglietta rossa”, non ci interessano le sviste sul suo vestiario, ma non facciamo passare quelle sulla sua preparazione scientifica.
Timmy Turner, invece, è un personaggio praticamente monodimensionale e decisamente definito dal suo aspetto, perciò, nel suo caso, un errore nel vestiario non sarebbe un semplice “blooper”, bensì catturerebbe la nostra attenzione, compromettendo la sospensione dell’incredulità (che, ricordo, è necessaria per poter “accedere” a un mondo possibile).
Ebbene, Il re delle volpi. Ah!, avremmo potuto parlare di blooper se in una scena, per dire, re Ord avesse brandito il martello e, alla fine della stessa, si fosse ritrovato in mano un’ascia. Si sarebbe trattato di una banale svista, non l’avrei nemmeno segnalata nella recensione. E questo perché l’errore non avrebbe intaccato la definizione del personaggio: col martello, o con l’ascia, Ord è comunque un personaggio guerriero, che combatte con la forza fisica e non con la magia.
Ma, capite bene, se il nano è presentato prima come un guerriero non mago, poi come un guerriero con antenati maghi, e alla fine come un mago… forse… eh, mi sa tanto che non siamo di fronte a una semplice, innocente svista.
Jerk Ass e la chiave di tutte le cose
A sostegno di quel che affermo, ci si mette proprio l’approfondimento psicologico che Fiore tenta di appiccicare ai suoi protagonisti. Che?! Come può essere? Può essere, può essere.
Cominciamo da Marian. All’inizio, ho spiegato, la ragazza è tratteggiata come un personaggio timido, insicuro, appunto una shrinking violet. Credo perciò che tutti ci aspettiamo per Marian un percorso di formazione, capace di renderla più forte, più risoluta e più saggia.
Occhei, stop!, taglia: taglia il percorso di formazione. Sì, pressappoco devono essere state queste le indicazioni di Fiore, perché senza preavviso ci becchiamo una badass Marian, appena questa mette piede a Faerie! Cielo, io ero preoccupata che morisse per le esalazioni dell’atmosfera o per le radiazioni della terra magica, invece… invece no, le radiazioni (calmi, non ci sono, cazzata mia) la rendono immediatamente una sorta di She-Hulk.
Addirittura, dopo aver assunto le proteine e gli steroidi che fluttuano liberamente nell’aere di Faerie, la nostra eroina minaccia direttamente re Aleister, e ciò nonostante l’abbia visto per la prima volta… uh… un paio d’ore fa? Guardate:
«Vero, Aleister, che Macbeth non verrà punito in nessun modo?» disse con voce dolce, mentre lo guardava minacciosa. […]
Marian fece un passo in avanti e picchiettò l’indice contro il petto del re, puntandolo anche con le corna [sì, a un certo punto a Marian spuntano le corna, lunga storia…].
«Avevate promesso di non sgridare Macbeth.»
It’s okay, Aleister, just have her fuckin’ money tomorrow!
Sul serio, non si capisce perché Marian sfoderi una simile cazzimma. Purtroppo per la nostra adorabile Fiore, la scelta narrativa ci impedisce il godimento di una sana evoluzione della protagonista, suggerendoci, e in maniera inquetante, che ella sia stata invece sostituita.
Oltre alla Marian “spaco botilia amazo familia”, ci ritroviamo con un doppelgänger del buon Aleister.
Il re di non si sa cosa, a questo punto, è da subito caratterizzato come un personaggio alquanto infantile. Non ama doversi assumere le responsabilità tipiche di un monarca, e tenta perciò costantemente di fuggire dai suoi compiti. Ma tutto cambia, dopo una lunga serie di… nah, dopo che Marian gli fa un discorsetto.
Di nuovo, facciamo i seri. È bene precisare che spesso, anche in storie ben congegnate, un personaggio immaturo cambia atteggiamento dopo essersi sottoposto a un confronto/scontro. Quest’ultimo, però, deve essere funzionale, se si vuole che rappresenti un punto di svolta nella trama. Che intendo con “funzionale”? Semplice: deve portare il personaggio immaturo alla cosiddetta “jerkass realization” (un altro topos), ossia alla consapevolezza di essere stato un cazzone. Ad esempio, il personaggio immaturo potrebbe essere posto di fronte alle indesiderate conseguenze delle proprie azioni scellerate, un po’ come fa lo Spirito del Natale futuro con il signor Scrooge. Ecco… non è esattamente ciò che accade nel confronto fra Aleister e Marian.
Innanzitutto, Aleister in questo confronto non si comporta affatto da jerkass, anzi:
«Non puoi chiudere la porta al mondo e lasciare fuori tutti. Hai delle persone che si preoccupano per te. Hai dei sudditi di cui prenderti cura. Aleister, sei un re… Non puoi continuare a interessarti solo di te stesso» disse Marian, sentendo le guance andarle a fuoco e le mani che iniziavano a tremare. […]
«Io non mi tiro indietro» borbottò Aleister.
«Ah, no? Sbaglio o lo hai appena fatto? Adesso che Feardorcha ha rubato la parola al tuo predecessore, uccidendolo, cosa pensi che accadrà, Aleister? Non puoi rintanarti nel tuo nascondiglio sperando che le cose si sistemino da sole.»
«Non è un mio problema. Io non sono alla ricerca della vendetta. Ho imparato nel corso degli anni che porta solo ulteriore spargimento di sangue» ribatté ostinato Aleister.
Ah-ah, sì, Aleister sostiene che Tapioca non è un suo problema, e questo lo fa sembrare un menefreghista, un jerkass da manuale. Ma, immediatamente dopo (cioè, nella frase successiva), il re delle volpi manifesta il proprio timore per un’escalation di violenza. Ehm, è uno scrupolo che difficilmente verrebbe a un cazzone. Anzi, Aleister si mostra lungimirante, forse troppo prudente, ma comunque lungimirante!
Be’, Marian considera solo la parte iniziale della battuta di Aleister, e reagisce con stizza, trascurando di rassicurare le paure più che legittime del re:
«Non è un mio problema. Io non sono alla ricerca della vendetta. Ho imparato nel corso degli anni che porta solo ulteriore spargimento di sangue» ribatté ostinato Aleister.
«Bene. Sai una cosa? Ci penserò io allora» dichiarò Marian.
«Cosa?» disse Aleister scoppiandole a ridere in faccia. «Vorresti vendicarti?»
«Se tu non hai intenzione di proteggere le tue volpi, tutti i Sidhe e il regno di Faerie da Feardorcha allora lo farò io» continuò mentre sentiva ardere le guance.
Fine del confronto! Intendo: quando Marian sorvola sul pensiero completo di Aleister, ecco che al confronto formativo vengono segate le gambe. Come cacchio fa il personaggio jerkass a capire dove sbaglia, se non si discute sulla sua (solo supposta, in questo caso) forma mentis bacata?!
Neanche a dirlo, quando poi più tardi Aleister annuncia “allegro” (sì, proprio così, “allegro”) di voler combattere Manioca, non capiamo affatto le ragioni del suo mutato consiglio, il quale ci risulta quindi repentino e infondato.
FearD’OHrcha
E adesso, l’ultima approfondimentula psicologica che mi va di analizzare con voi riguarda proprio lui, il più bistrattato di tutti i personaggi: Fettunta! Ah, ah, ah, no dai, la smetto con questo gioco cretino: Feardorcha, sì, parliamo di lui. Purtroppo, se la passa male, al pari di Marian e di Aleister. Non ha una definizione coerente, oscilla di continuo fra due prototipi di “villain” incompatibili: lo “anti-villain” e il “pure evil”.
Prima di entrare nel vivo, però, è il caso che vi racconti un po’ meglio la sua storia. Tanto per cominciare, il suo vero nome è Thomas. Come potete intuire… ma forse no… Thomas non è un Sidhe, bensì è un trenino carino che non è minimamente disgustato dal dover accogliere dentro di sé dei lerci Inglesi. LOL, no, perdonatemi: è un essere umano, rapito ancora in fasce da una fata incapricciatasi di lui. Crescendo a Faerie sotto l’ala (letteralmente?) della fata, è riuscito a diventare un mago potente quanto e perfino più di tanti altri Sidhe, grazie allo studio di molti libri di magia, la cui esistenza, di nuovo, è inspiegabile (i sorcerer, ricordate?… è come se noi pubblicassimo libri per imparare a piangere). Da adulto, il nostro Thomas ha provato a riallacciare i rapporti con la madre naturale, ma quest’ultima l’ha cacciato via in malo modo, terrorizzata all’idea di trovarsi davanti il figlio che credeva morto. Questo ulteriore trauma fa crescere nel poveraccio un feroce rancore per gli uomini e l’Altrove, rancore che si acuisce quando il progresso tecnologico umano minaccia l’esistenza stessa di Faerie (perché? Boh). Infuriato e senza scorte di Prozac, che fa Thomas? Appunto, ve l’ho detto, decide di distruggere l’Altrove, per salvare il mondo che considera la sua vera e unica casa.
Lettori, suppongo riusciate già a capire perché Feardorcha può considerarsi un anti-villain. L’anti-villain, infatti, è quel tipo di antagonista per cui possiamo provare empatia e perfino ammirazione. È quello che compie azioni deprecabili, ma per un fine giusto, o quantomeno condivisibile. È un cattivo non cattivo, va’. E può perfino risultarci più simpatico dell’eroe. Infatti, anche Aleister constata il declino di Faerie, ma al contrario di Thomas si limita a rattristarsi e a votare centro-sinistra (o centro-destra: la parola chiave è “centro”)…
«[…] Comunque è un peccato, perché Faerie non è più splendente e ricca come un tempo… Avresti dovuto vederla prima, sono sicuro che ne saresti rimasta conquistata. […] È colpa di voi umani. Crescete e vi allargate. Più vi evolvete, voi e la vostra tecnologia, e più Faerie si fa piccola, restringendosi sempre di più. I nostri mondi coesistono da migliaia di anni, ma ultimamente vi siete fatti più prepotenti».
Marian non seppe cosa rispondere. Aleister non sembrava arrabbiato mentre parlava… solo amareggiato. Triste, forse.
Lo ammetto con piacere, le premesse riguardanti Feardorcha fanno del nostro un villain complesso e interessante, il personaggio più interessante di tutto Il re delle volpi. Ma poi, al solito, Fiore si mette a saltellare a testa in giù, e senza alcun motivo attribuisce allo sfortunato Thomas dei tratti da cattivo pure evil, cioè da cattivo duro e puro, stile Imperatore di Guerre stellari o Thulsa Doom di Conan il barbaro.
Esempio lampante di questa botta schizoide è il modo in cui Feardorcha si comporta con la principessa dei nani: prima la prende in ostaggio per ottenere uno speciale incantesimo (chiamato… uhm… “parola”) dal re Ord; poi, una volta ottenuto quanto desiderava, non la lascia andare affatto, e si eccita all’idea di ucciderla…
«Adesso tieni fede alla tua parola. Libera mia figlia» ringhiò feroce, tirandosi su in piedi, appoggiandosi al martello da guerra.
Feardorcha alzò lo sguardo, come se si fosse ricordato solo in quel momento del suo ostaggio sospeso sopra la voragine senza fondo.
«Ah, già. Il nostro accordo» sogghignò. «Vediamo se sei abbastanza veloce.»
Con un gesto pigro, schioccò le dita. L’incantesimo che tratteneva la principessa si spezzò, facendola precipitare nel vuoto. Re Ord gridò disperato.
Ma dai, cazzo! Thomas mi piaceva, perché l’hai rovinato… FIOREEEEE?! Non posso più amarlo come si amano gli anti-villain, si è rivelato un sadico; tuttavia, allo stesso tempo non riesco a detestarlo come detesto i pure evil, e non posso proprio godere della sua sconfitta, perché continua a tornarmi in mente che, dopotutto, stava perseguendo uno scopo nobile.
Oh, cielo!, provo un tale imbarazzo, vorrei che tutti personaggi de Il re delle volpi fossero morti!
Pistole di Čechov (ma a salve)
I difetti del romanzo sono finiti. È quello che dirò, un giorno. Adesso invece vi parlo delle diverse cosucce random che Fiore introduce nella trama senza dare loro alcun seguito. Un paio di casi esemplari.
Primo: poco dopo essere arrivati a Faerie, Macbeth mette in guardia Marian, parlandole della furbizia dei Sidhe, e fa alcune raccomandazioni…
«[…] Penso che sia meglio che ti metta in guardia su ciò che qui è pericoloso per uno dell’Altrove. […] Come prima cosa non provare mai, per nessun motivo, ad attraversare questa porta da sola. […] Se non pronunci correttamente l’incantesimo di uscita, ti perderesti [sic] nell’altro mondo, quello delle anime dei morti. […] Seconda cosa: non devi accettare doni. Nessun Sidhe regala niente per niente. Se qualcuno ti fa un dono, vorrà qualcosa in cambio, ed è meglio non essere mai in debito con nessuno qui, ne va della tua vita. […] Terzo. Non dire mai dove sei diretta e da dove vieni. Se ti domandano: “Da dove arrivi?”, tu rispondi sempre: “Da dietro di me”. E se ti chiedono: “Dove sei diretta?”, tu rispondi semplicemente: “Davanti a me”. Usa la logica, ma mi raccomando, non mentire mai. Le bugie a Faerie sono pericolose. Piuttosto che mentire, meglio tacere.»
Lettori, so che mi volete tanto bene, e perciò avete imparato a memoria il concetto di “pistola di Čechov”: se nella trama viene introdotto un elemento, questo elemento prima o poi dovrà servire a qualcosa. Ovviamente, ci aspettiamo che Marian debba affrontare una situazione in cui le dettagliate raccomandazioni di Macbeth le siano estremamente utili.
Aspettiamo.
Aspettiamo.
Aspettiamo ancora.
Un altro po’.
Meeenghia, che palle!, quando arriva ’sta situazione?!
Mai, vi pare? Marian non attraversa mai da sola la porta che conduce all’Altrove (in effetti, non la attraversa MAI PIÙ, punto e basta), mai nessuno le offre in dono nulla, mai nessuno le domanda né dove è diretta né da dove viene. E, stranamente, è anche logico che nessuno glielo domandi, perché, LOL!, tutti si accorgono che proviene dall’Altrove:
La fata si arrestò e spalancò i suoi enormi occhi, stupefatta.
«Per tutti i goblin, gli hobgoblin, i bugbear e i thoul! Potessi perdere la lingua se questa non è una ragazza dell’Altrove!»
Leah li stava osservando divertita, quando proruppe in un grido eccitato.
«Ma tu sei una mortale!» esclamò riferendosi a Marian.
Il viso di Puck, contratto nello sforzo di studiarla, si sciolse dalla sorpresa. «Ma… ma è una dell’Altrove!» balbettò indignato.
“Where did you come from, where did you go…”, eh?, faceva così, mi pare.
Vabbuò. L’altra pistola di Čechov che si inceppa riguarda il punto debole di Feardorcha. A un certo punto, il nostro villain e Marian si ritrovano soli, e lui, da bravo furbone… le racconta la sua storia e il suo “tallone da killer” (cit.):
Marian trattenne il respiro.
«Per questo… tu non potrai mai più tornare nell’Altrove» disse lei, capendo solo in quel momento ogni cosa.
«Se mettessi piede nell’Altrove, i miei trecento anni mi crollerebbero addosso, trasformandomi in polvere. Ma va bene così, non voglio tornare in quel posto maledetto. È Faerie la mia unica casa.»
E questo è tutto, miss Bond.
Allora, lettori, concentriamoci sull’utilità della confidenza di Thomas: se in qualche modo (lasciamo perdere come, in questo caso) viene a galla una vulnerabilità del personaggio, questa vulnerabilità deve essere sfruttata nel duello finale.
Ebbene, poco dopo la confidenza di Feardorcha, Marian riesce addirittura a ricongiungersi ad Aleister. Questo cosa vi suggerisce? Be’, che la nostra eroina dovrebbe mettersi a pianificare un’offensiva, offensiva incentrata sulla debolezza del nemico. Piano semplicissimo: Aleister crea un portale che conduce nell’Altrove, e con qualche stratagemma gli eroi proveranno a lanciarci dentro il povero Thomas.
E… nah. Marian si mette a pensare ai casi suoi, Aleister si guarda intorno, Macbeth si scaccola, e Thomas… cacchio, Thomas manco per sbaglio precipita nell’Altrove, anzi, alla fine, non muore nemmeno. Ah, scusate lo spoiler.
È talmente assurdo che non mi viene un titolo
Capite, lettori? Capite quella stella solitaria? Capite perché Fiore Manni è la regina del “so bad it’s good”? Aveva lì, tutto bello e pronto, l’espediente per sconfiggere il cattivo che lei stessa ha immaginato: non doveva pensare ad altro, doveva solo sfruttarlo. Invece no, col cavolo, lo ignora del tutto. Ma non solo. Non solo!
Non ce la posso fare. Cioè, non solo Fiore snobba il tallone d’Achille di Feardorcha, MA PORCA PUTTANA, PER LO SCONTRO FINALE SI INVENTA UNA CAZZO DI SPADA MAGICA AMMAZZACATTIVI!
Oddio, lettori: è una spada che Aleister trova in una specie di portaombrelli, e che… e che non è nemmeno magica! Cioè, per una qualche ragione, ma più che altro senza ragione, diventa magica solo quando Marian, per caso, la impugna:
Il Re delle Volpi si allungò alla sua destra, estraendo a caso [SIC!] una spada da quello che aveva tutta l’aria di essere un portaombrelli.
Se solo Marian avesse potuto fermarli…
In quel momento, qualcosa brillò ai suoi piedi.
Era la spada di Aleister. Nella lotta doveva essere volata fin lì.
Le tornò subito in mente ciò che il ragazzo le aveva detto nella bottega di Destino.
“L’arma giusta arriva all’eroe nel momento del bisogno” si disse.
Non ci pensò due volte e la afferrò.
Appena le dita si chiusero attorno all’elsa, il braccio iniziò a tremare, attraversato da una scarica elettrica. […] Dentro di lei stava scorrendo la magia. […]
Fu allora che Marian si tuffò in mezzo a loro. La lama della spada calò sulla zampa tesa del Negromante, e quando si abbatté contro le scaglie di serpente e le piume di corvo, mutò improvvisamente. Si trasformò in pura luce.
Lettori, ma questo è IL deus ex machina. Nel senso: altro che bug nella simulazione, Fiore è il deus che è uscito dalla machina triste e grigia che ingabbia le nostre vite!
Insomma, un po’ per definizione e un po’ per esperienza, il deus ex machina è un goffo espediente per risolvere una storia zoppa, è un aiutino gratuitamente offerto all’eroe, è… occhei, sappiamo cos’è. Le trame di Veltroni e di Marina Di Guardo sono i più fulgidi esempi del potere di un deus ex machina fatto come si deve, ossia male: infatti, se non fosse per le demenziali botte di culo, i detective dei due autori morirebbero di sfinimento, dopo aver passato duecento e passa pagine a girare in tondo, cercando un qualsiasi indizio.
Ma il deus ex machina di Fiore è a un altro livello. Appunto, l’unico aggettivo che mi viene per descriverlo è “divino”. È praticamente uno e trino (con rispetto parlando). Ripeto: c’era già un deus ex machina, ossia la vulnerabilità di Feardorcha all’atmosfera della Terra. Cavolo, come può finire la storia, mo’? Ehi, idea!, con un deus ex machina: mettiamoci la spada nel portaombrelli. Oh no, merda, merda… che si può fare per sbrogliare la matassa finale? Ehi, idea!, con un deus ex machina: la spada è magica, adesso. Dannazione, così però a che è servita Marian? Ehi, idea!… mumble, mumble… con deus ex machina! La spada è magica, ma solo quando Marian… uh… la prende in mano casualmente! Eh, eh, eh, eh, astuto, astuto…
Lettori, davanti a tutto ciò non credo si possa far altro, bisogna solo tacere e contemplare. Ah, e giusto perché non ci siano fraintendimenti: non si scopre mai da nessuna parte né in cosa consiste la “magia” della spada né come tale magia può avere la meglio su Feardorcha. Cioè, è una spada magica, dude, qualcosa farà, no?!
Semplicemente straordinario. Il caos nella sua forma purissima. Che non è affatto spaventosa, come supponevano i Greci: no, il caos è benevolo, è tenero, è un po’ gothic lolita (LOL, so che non è più il tuo stile da un pezzo, perdonami, Fiore).
Scusa, come hai detto che si chiama?, l’ho scordato
La strada era un rettilineo sgombro, ma no!, la nostra autrice ha sterzato bruscamente ed è finita in un campo di mais, e ora le pannocchie volano da tutte le parti. E qualcuna mi arriva in faccia, ouch!
Purtroppo, se il mio grugno dolorante è accettabile, con rammarico ci tocca notare che le pannocchie volanti hanno danneggiato pure lo stile de Il re delle volpi. Non mi rimangio gli apprezzamenti, lo stile continua a essere corretto e godibile, però… però si becca qualche ammaccatura. In particolare, i bozzi maggiormente vistosi sono rappresentati da… i personaggi… che dialogano… o riflettono… su cose… su cose su cui hanno già dialogato o riflettuto. Eh, eh-he, eh.
Guardate qui, Macbeth spiega due volte a Marian che Aleister nasconde le sue orecchie e la sua coda:
Per fortuna Macbeth venne in suo aiuto.
«Il mio signore va matto per voi mortali. È per questo che nasconde le sue orecchie, gli piace sembrare uno di v…»
Macbeth non riuscì a finire la frase che Aleister lo zittì mettendogli una mano sulla bocca.
«A proposito di orecchie e coda… come mai Aleister non le mostra come fanno tutte le volpi? Le ha anche lui, vero?»
«Oh, certo che le ha!» disse Macbeth concentrato mentre picchiettava sui mattoncini tra una porta e l’altra. «Solo che le nasconde con la magia. Ha un’ossessione per voi dell’Altrove. […]»
Repetita iuvant! E, a dirla tutta, mi sento di dar ragione a Fiore, perché i personaggi con cui si è trovata a dover lavorare hanno parecchi problemi di memoria a breve termine. I seguenti stralci, infatti, vi svelano un gustoso siparietto fra Marian e Aleister, i quali prima si accorgono che a entrambi piacciono i libri, poi se ne dimenticano, poi se ne accorgono di nuovo:
Marian sorrise, più ai libri che a lui. «No, niente… è che mi sono resa conto che qualcosa in comune alla fine lo abbiamo.»
Marian fece una smorfia imbarazzata. «È che… mi piacciono molto i libri» disse.
Aleister le si avvicinò e abbassò il tomo che stava usando come scudo, scoprendole il viso.
«Allora qualcosa in comune lo abbiamo» commentò divertito.
Dulcis in fundo, Marian ripete due volte ad Aleister che nell’Altrove non si sentiva ascoltata, ed entrambe le volte si stringe nelle spalle:
«Perché hai sempre avuto paura di dire quello che pensi?»
La domanda prese Marian in contropiede. […]
«Perché a nessuno è mai interessato ciò che avevo da dire» rispose, stringendosi nelle spalle. […]
«A me interessa quello che hai da dire» ribatté Aleister con voce cristallina.
«Perché parli sempre in questo tono di voce così sommesso? Cosa c’è, non sei abituata a dire ciò che pensi ad alta voce?»
Marian rimase spiazzata da quelle parole. «In effetti è così» ammise. […]
«E perché?»
Marian si strinse nelle spalle. «Non credo che a nessuno interessi ciò che ho da dire» tagliò corto.
[…] Aleister la guardò intenerito.
«A me interessa sempre ciò che hai da dire.»
Esattamente non so quanti progressi abbia fatto la nostra eroina, se pure a Faerie le tocca ribadire i concetti. Ma, ehi, d’altra parte lei stessa non sembra ricordarsi dei corsi e ricorsi, perciò… occhei?!
Per fare tuuuutto ci vuoleee Fioooooore!
E siamo arrivati alla fine. Uff!, è stata tosta, vero?
Allora, avevo detto che avrei fatto delle precisazioni, a proposito del giudizio di questa recensione. Sì, vedete una stella, giudizio negativo. In effetti, dal punto di vista tecnico e oggettivo, la stellina è fondata: si confrontano i vari elementi de Il re delle volpi con le pietre di paragone, si considerano le contraddizioni, gli stilemi, bla, bla… e invariabilmente ne esce un “0% match” che si traduce in una singola stellina. Ma.
Ma il punto di vista tecnico, oggettivo, non esaurisce il giudizio su un’opera. C’è anche l’aspetto emotivo, il “che cosa mi ha lasciato dentro di me”, se volete. E come no, che non c’è? Le recensioni degli altri blog sono praticamente solo dei “uè, mi ha fatto sentire…”! È vero, di solito è un aspetto che trascuro, proprio perché soggettivo e quindi meno interessante, per voi.
Tuttavia, stavolta voglio uscire dai miei stessi schemi: Il re delle volpi mi è piaciuto un casino, per me è un libro-farmaco. È allucinato, folle, spiazzante… ed è anche ingenuo, innocente, buffo, tenero… coinvolgente, e capace di tenere sulle spine. Appunto, sotto l’aspetto emotivo, dell’intrattenimento e del divertimento, le stelle sono… le stelle sono taaaante, milioni di miliooooni!
No, non sto umiliando Fiore con gratuito sarcasmo. La recensione è una colossale presa in giro, sicuro, però spero abbiate capito che non c’è malizia nelle mie parole. Quando rido e faccio battutacce terribili, non sto cercando di spezzare in due la nostra autrice: il mio divertimento non è nel sapere che lei fa pena (anche perché ci vorrebbe coraggio a dire che Fiore Manni, in qualche modo, “fa pena”), il mio divertimento è nell’interagire con la sua storia, con i suoi personaggi, con le sue trovate assurde. Le mie reazioni sono spontanee, e, cosa più importante, sono “all’interno del romanzo”: nel senso che, quando mi ritrovo a perculare Aleister o Feardorcha, sono già stata rapita dalle pagine di Fiore, e non so come sono circondata dalla sua fantastica e caotica realtà.
Certo, qui in Italia, perché sopravvive una schifosa mentalità da arrampicatori sociali in una società (pseudo)nobiliare, è impensabile che si possa “perculare senza odiare e senza umiliare”. Eppure si può. So che a voi, cari lettori, nemmeno è passato per la mente, perché siete intelligenti; ma so anche che qualcun altro potrà interpretare le mie apostrofi a Fiore come un lanciare le mollichine al giullare. Niente di più sbagliato. Fiore non è un giullare, e lanciare le mollichine non è qualcosa che posso considerare divertimento. Diciamo che la mia idea è più che altro quella di avere l’autrice seduta a tavola con me: una compagnona di vecchia data, quella che tormenti in amicizia, con affetto e con rispetto. L’avevo già detto a proposito di Carofiglio: mi ripeto, qui, e sappiate che vale anche per tutti gli altri autori (primo fra tutti Michele Monteleone, il quale stavolta è comparso solo in un breve, ma intenso, cameo) che si sono beccati delle betoniere di… ehm… di merda, eh, eh.
Sicuro, Fiore e io non siamo amiche nella realtà, manco ci conosciamo, quindi posso capire che la mia “simpatia” abbia un’aura di aggressività ingiustificata. Tuttavia, questo blog è il vostro, lettori, e quindi è anche di Fiore: e se mai volesse rendermi pan per focaccia, porte (e sezione commenti e casella postale) aperte!
Infine, mi preme sottolineare una cosa. Fiore non ha bisogno di ricevere da me incoraggiamenti o lodi, quel che fa, in ogni ambito, testimonia ampiamente le sue capacità e la sua bravura. Però, so che ci tiene molto a essere “presa sul serio” come scrittrice, e mi rimorde la coscienza al pensiero che le mie stroncature possano demoralizzarla. Ora, in primo luogo, nonostante le scemenze che scrivo, voglio essere categorica: io la prendo sul serio. I due suoi romanzi che ho recensito li ho recensiti col massimo impegno, e al meglio delle mie capacità analitiche. Mai per un attimo ho pensato che fossero cazzatelle buone solo per farci quattro battute.
In secondo luogo, ho recensito due libri, e la nostra autrice ne ha scritti… uh… parecchi. Pertanto, le cose sono due: o in quelli che non ho letto già ce n’è almeno uno “fatto a regola d’arte”, oppure, in effetti, sono tutti dei so bad it’s good. D’accordo, anche se fosse questo secondo caso? Nessun marchio d’infamia (e “la regina dei so bad it’s good” è solo una stupidaggine per ridere): qualora volesse ardentemente comporre un’opera al livello dei grandi classici, nulla impedisce a Fiore di riuscirci. Certo, avevo già avvertito nella recensione di Nel buio della casa, può darsi che ci vogliano tanto tempo e tanto impegno, può darsi che la nostra autrice debba faticare per liberarsi di certi automatismi durante la scrittura, ma… si… può… faaaare! Quindi, niente sconforto.
Quanto a voialtri, lettori, so che mi posso fidare, ma comunque vi avverto, non vi venga di offendere Fiore (e nessun altro dei nostri autori privi delle cinque stelline) pensando di essere spalleggiati dalle mie recensioni: perché chiunque vorrà offendere, sappia che io l’offenderò cento volte peggio!
E va bene, dopo questo semipsicotico sproloquio di religione e decenza, mi resta solo da… cos’è che mi resta da fare? Ah, sì: leggete Il re delle volpi, leggete Fiore. Dopo, vedrete, e garantisco io, direte a voi stessi di aver finalmente scoperto il vero significato dell’espressione “fare una buona lettura”!