Figlie del mare – Mary Lynn Bracht
Nel marzo 2016 andai a Seul perché volevo vedere la Statua della Pace per la prima e forse l’ultima volta. Fu una specie di pellegrinaggio attraverso mezzo mondo, per rendere omaggio al simbolo che per me rappresenta non soltanto lo stupro delle donne coreane in tempo di guerra, ma anche quello di tutte le donne del mondo: Uganda, Sierra Leone, Ruanda, Myanmar, Jugoslavia, Siria, Iraq, Afghanistan, Palestina, e altri Paesi ancora. La lista delle donne stuprate in tempo di guerra è lunga e continuerà ad allungarsi, a meno che tale crimine non venga incluso nei libri di storia, non siano testimoniate nei musei tali atrocità, e le donne uccise non vengano ricordate con monumenti in loro onore, come la Statua della Pace.
La fine all’inizio
Sono solita iniziare l’articolo con uno stralcio del libro, per far sì che il lettore possa farsi un’idea dello stile dell’autore in questione. Questa volta, però, preferisco riportare una frase della splendida nota con cui l’autrice conclude il romanzo, perché la sua riflessione ci lascia un messaggio importante: un libro non serve solamente a svagarci, ad ingannare il tempo mentre siamo sul treno, o ad abbellire la nostra libreria. La prima funzione della letteratura, il motivo per cui questa è nata, è la memoria: così come i popoli antichi tramandavano di generazione in generazione i ricordi dell’origine della loro gente e della loro stirpe, allo stesso modo noi abbiamo il compito di scrivere e non dimenticare né le atrocità né il coraggio dimostrato di fronte a queste, del nostro tempo. Le donne uccise e tutti gli altri vinti della storia devono essere omaggiati con un monumento, e la bravissima Mary Lynn Bracht l’ha dedicato loro scrivendo il suo romanzo.
Giapponesi brava gente
La protagonista è Hana, una coreana haenyeo: si guadagna da vivere con le sue forze, immergendosi nelle profondità del mare per raccogliere tutto ciò che questo ha di delizioso da offrirle, e rivenderlo al mercato. I suoi genitori si amano e Hana vive circondata dall’affetto e dalla felicità, che viene accresciuta dalla nascita della sorellina Emiko, nei confronti della quale ella si sentirà fin da subito responsabile. Tuttavia, in questo idillio, irrompe la guerra. Per salvare la sorellina, Hana andrà volontariamente incontro a un soldato giapponese, che la farà diventare una “donna di conforto”. Un termine quasi delicato, che non lascia presagire l’inaudita violenza che si riverserà su Hana. Da qui inizia la battaglia della giovane haenyeo per sopravvivere e tornare a casa, e in questa triste avventura la protagonista verrà a contatto con altri personaggi e altre storie di sofferenza: come quella di Keiko, costretta a prostituirsi perché ormai troppo vecchia per continuare a fare la geisha; o dello stesso soldato giapponese che l’ha strappata alla sua casa, il cui dolore l’ha reso un crudele aguzzino.
Sopravvissuti?
La narrazione procede alternando capitoli dedicati ad Hana, e capitoli dove, con un salto temporale che arriva ai nostri giorni, ci viene raccontata la storia della ormai anziana Emiko. Attraverso questo personaggio, l’autrice ci spiega il dramma di chi ha superato sia la Seconda Guerra Mondiale, sia quella delle due Coree: chi è sopravvissuto vive un senso di estraneità e di incomunicabilità nei confronti delle nuove generazioni, non c’è spazio per i brutti ricordi nell’ottimistico mondo moderno. Emiko, e altre come lei, si vergognano del proprio dolore, e finiscono per negarlo e seppellirlo in fondo all’anima. Attraverso questa alternanza dei capitoli e dei punti di vista, l’autrice tiene sempre viva la suspense, e al contempo ci fa capire che la tragedia, finché non è riconosciuta, non è mai finita.
In definitiva, Figlie del mare è un libro di cui non vi dimenticherete facilmente, e che non dovete assolutamente perdervi.
Buona lettura!