Fedeltà – Marco Missiroli
Sofia si stava sistemando in seconda fila e aveva tirato fuori il taccuino e le mandorle. Era più giovane dei suoi ventidue anni, per il viso minuto, e per i movimenti gentili che mitigavano i fianchi, così inaspettati.
Brutto, bruttone, brutto grugno…
Fedeltà è uno dei romanzi più chiacchierati degli ultimi mesi: tanto pubblicizzato da vederlo ovunque, al punto che è diventato doveroso esprimere un’opinione a riguardo.
Eccola qui, schietta e cruda: Fedeltà è un libro che non merita di essere candidato al Premio Strega, perché non è soltanto mediocre, è brutto.
Sì, Fedeltà è brutto: è brutto lo stile piatto e frammentato, il dialogo apatico, il turpiloquio privo di scopo, se non per richiamare vagamente Bukowski, è brutto sfogliare le pagine senza che un’immagine vivida ti travolga la mente.
E ti spiego perché
Ma siccome una sentenza simile, senza alcuna spiegazione, sembrerebbe solo un modo per attirare l’attenzione, vediamo insieme punto per punto i motivi per i quali Fedeltà è l’ennesimo libro pubblicizzato all’inverosimile senza meriti.
Cominciamo dall’inizio, l’incipit. Nell’articolo “Fabula e intreccio” ho spiegato come le prime righe del romanzo siano le più importanti, destinate a riecheggiare eternamente negli anni, se ad effetto (si pensi agli incipit famosissimi di Lolita o di Moby Dick): l’incipit di Fedeltà è un dialogo fra professore e giovane allieva completamente atono, senza sfumature.
Avviso subito che tutti i dialoghi saranno così: Missiroli non ama utilizzare punti interrogativi e puntini di sospensione nei suoi dialoghi, né ha interesse a ricostruire dei veri e propri dialoghi, in realtà. Totalmente e continuamente teso alla frase d’effetto, Missiroli fa sì che i personaggi si scambino al più dei semplici “botta e risposta”. Recita infatti l’incipit:
– Tua moglie mi ha seguita.
– Mia moglie.
– Fino a qui –. Sofia lo fissò: – Professore?
Lui guardava l’entrata dell’aula.
– Credo sia in cortile.
Ed ecco un altro dialogo:
– Ci sono voluti due mesi per prenotare.
– Sembri tua mamma
– È solo un controllo
– Non insistere.
– Fai come ti pare.
E ancora:
– Sei qui da troppo poco.
– Sei mesi non è troppo poco.
– Per Milano?
– Faccio io la cassa oggi, posso?
Rendo bene l’idea?
Bip – bip – bip
Perché insisto tanto sull’inconsistenza dei dialoghi? Perché sono una parte importantissima del romanzo: durante tutta la storia i fatti sono filtrati o dal narratore o da uno dei personaggi; i dialoghi sono gli unici momenti in cui partecipiamo “direttamente” all’avvenimento, ed è solo nei dialoghi, infatti, che il tempo della narrazione coincide con quello della lettura e della realtà.
Il dialogo, e più in generale lo stile, così “smozzicato”, frammentato, continuamente interrotto, non è ad effetto, è apatico, è desolante, è freddo e meccanico. E non può assolutamente essere utilizzato per tutto il romanzo, ma deve essere dosato e utilizzato in momenti particolari, di alta tensione o di distacco.
Ridere per il motivo sbagliato
Quindi abbiamo constatato che i dialoghi di Fedeltà sono privi di emotività, ma non è tutto: sono spesso anche ridicoli.
Ecco un altro stralcio del libro:
Le aveva raccontato la sua versione dei fatti.
Lei aveva intrecciato le braccia. – Sembra quel romanzo.
– Quale romanzo.
– Il sudafricano, il Nobel.
– Mi stai accusando.
– O l’altro romanzo –. Lo aveva guardato: – Com’era l’incipit? Luce della mia vita, fuoco dei miei lombi.
Per favore, se c’è qualcuna tra voi portata a citare l’incipit di Lolita dopo aver saputo che il marito è stato scoperto in atteggiamenti intimi con un’allieva nei bagni dell’università, me lo faccia sapere nei commenti; perché se così fosse dovrei rivedere l’opinione che ho della vita di coppia e dell’umanità in generale.
Studi sulla psicologia amorosa a parte, da questo brano si evince un altro, grande problema di questo romanzo: il continuo, oserei dire ossessivo, citazionismo.
E la Némirovsky, e Lolita, e Ritorno al futuro, e le Kardashian, e Leonard Michaels, e la nonna che assomiglia a Jessica Fletcher, e l’amante che assomiglia a Audrey Hepburn, e quell’altro personaggio che invece è uguale a Humphrey Bogart… è come parlare con qualcuno che, nel bel mezzo del discorso, continua a distrarti indicandoti cose che non c’entrano nulla; è come se l’autore volesse a tutti i costi riempire delle pagine, e lo facesse parlando del più e del meno, di fatti che non hanno alcuna importanza, diventando inevitabilmente ripetitivo.
Esaltatore di sapidità
Dialoghi che non hanno impatto emotivo, citazioni e riferimenti che non hanno motivo d’essere, e, infine, anche descrizioni mal fatte.
Le descrizioni all’interno di un romanzo non sono un modo per allungare il brodo! Servono a far sì che il lettore si cali nel luogo e nel tempo in cui è ambientata la narrazione.
I luoghi, ad esempio, sono delle volte così importanti che in alcuni libri sono loro i veri protagonisti della storia: basti pensare a Notre-Dame de Paris, dove protagonista non è il gobbo, non è Esmeralda, ma proprio la cattedrale, motivo per il quale Hugo si dedica così scrupolosamente a descriverla nei minimi dettagli.
In Fedeltà le descrizioni sono ridotte al minimo: questo non sarebbe stato un grande problema, soprattutto se il romanzo avesse avuto un particolare tipo di focalizzazione, ma diventa grave quando paesaggi e luoghi ci vengono descritti in maniera veramente elementare. Missiroli non si sofferma mai su ciò che circonda i personaggi, si limita a descrivere i movimenti di quest’ultimi nello spazio. Ecco nuovamente un esempio, la cui struttura si ripeterà di continuo lungo il romanzo:
Percorse corso Buenos Aires e la Milano che detestava, la trafila dei negozi, svoltò in via Spontini […] entrò e vide che Isabella era fuori per dei sopralluoghi, Gabriele era al telefono e le porse le chiavi, lei gli sorrise e uscì subito, proseguì verso viale Monte Nero, […]
Va bene, io a Milano non ci sono mai stata. Non ho idea di come siano Corso Buenos Aires e viale Monte Nero, ma mi piacerebbe saperlo, perché, teoricamente, dovrei immedesimarmi nel personaggio. Al lettore non interessa sapere soltanto se il personaggio cammina, se si ferma a osservare qualcosa, se piange; il lettore vuole soprattutto sapere dove va il personaggio quando cammina, come sono le vie che attraversa, che cosa osserva e che cosa vede, per quale motivo piange, se piange.
I verbi presenti nel passo citato, cioè “percorse, svoltò, entrò, uscì, proseguì”, sono parole che riempiono la pagina e non raccontano assolutamente nulla.
Lettore tipo: il padre di Indiana Jones
I dialoghi sono vuoti, i personaggi tra loro non comunicano realmente, la narrazione è costituita da un elenco di cose che l’autore conosce, che siano libri, serie televisive o strade di Milano, e niente più.
Fedeltà è un libro che non trasmette niente, o almeno non ha significato per chi non riesce ad abituarsi alla mediocrità, alle frasi buttate lì, alle psicologie non ragionate, ai paesaggi incolori, ai personaggi inespressivi.
Esistono tanti bei libri, e la vita è troppo breve per poterli leggere tutti: non arenatevi su Fedeltà, a meno che non abbiate la certezza di essere immortali.
Se però avete già bevuto dal Graal, vi auguro buona lettura.
Sono arrivata a metà ma più non ce l’ho più fatta. Condivido tutto quello che hai scriito
Sono d’accordo con te, parola per parola.