Caffè amaro – Simonetta Agnello Hornby

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IL GIUDIZIO:

caffè amaro

Ne abbiamo parlato, i tuoi fratelli e io, e abbiamo raggiunto l’accordo che conosci. Ho rapporti con l’uno e con l’altro. Ti ricordi quando ridevamo della poliandria? Be’, io sono la prima nel mondo occidentale.

Saper vendere

Ho letto di proposito uno dei libri più venduti, per farmi un’idea di ciò che piace in questo periodo. Ho trovato tanto accattivante la prefazione di Caffè amaro quanto inadeguata rispetto al contenuto.

Ma andiamo per gradi: dico subito che il romanzo inizia nel peggiore dei modi. L’autrice in realtà ha uno stile semplice e fluente, niente affatto spiacevole, ma nelle prime pagine ha forse voluto sperimentare qualcosa di diverso, ha forse cercato di simulare uno stile più elevato. Il risultato è che infila a forza nelle pagine parole altisonanti come “carpire“, che nel giro di pochissime pagine si ripete tre o quattro volte. Fortunatamente, procedendo con la storia, lascia perdere questa intenzione e si dedica alla narrazione propriamente detta.

Annamo bbene!

Un altro punto che ho trovato ridicolo, che invece in altre recensioni e in altri blog ha riscosso successo, è il tentativo di Simonetta Agnello di dare un aspetto “verista” al suo romanzo, facendo pronunciare talvolta frasi e parole in dialetto. In effetti, riprodurre un linguaggio verista, come quello che Verga partorisce con I Malavoglia, è difficile e richiede un lavoro lungo e massiccio: lavoro che in Caffè amaro sembra sia stato fatto con poca lena, perché spesso e volentieri i personaggi usano termini che stonano con la loro estrazione sociale e la loro istruzione. È il caso di Leonora, una ragazza che ha sofferto la povertà e che non è mai stata adeguatamente istruita, la quale in un dialogo con la protagonista Maria snocciola con disinvoltura e naturalezza la parola “poliandria“. Mi chiedo quindi a che serva la sfumatura realistica data dal dialetto, se poi le battute dei personaggi principali sono, per il contenuto, al limite del nonsenso. Ribadisco quindi la mia impressione: l’autrice ha inteso smettere le sue solite vesti per tentare una via più propriamente letteraria, più intellettuale. Fallendo.

Infine, concludendo la parentesi sullo stile, aggiungo che un altro errore è da cercare nel modo in cui il contesto storico viene spiegato al lettore. Bisogna innanzitutto tenere a mente che vi sono due modi per parlare di un contesto storico: far intervenire il narratore o non parlarne affatto.

L’illusione narrativa spezzata

Il narratore che interviene in modo invadente è tipico della prima metà dell’Ottocento, pensiamo a Manzoni che, proprio mentre Don Abbondio nota i bravi sulla sua strada, ci fa sapere che ruolo avessero queste figure nell’Italia del Seicento. Dal 1860 in poi il narratore quasi sparisce, le spiegazioni vengono lasciate ai personaggi, e molte cose il lettore deve cercare di capirle da solo: ad esempio, ne Il maestro e Margherita di Bulgakov non viene spiegato al lettore perché nella Russia sovietica non si credesse in Dio, né tantomeno lo fanno i personaggi.

Proprio questo è stato l’errore di Simonetta Agnello: ha voluto dare informazioni sul periodo storico attraverso la bocca dei suoi personaggi e non attraverso un narratore, di conseguenza i dialoghi risultano irrealistici. Se due persone si trovano in uno stesso contesto allora avranno un repertorio di conoscenze in comune, così come io e il lettore del mio blog sappiamo che in Italia c’è una crisi economica. Invece i personaggi di Caffè amaro parlano tra loro come se non avessero un repertorio di conoscenze in comune, ma come se dovessero spiegare la situazione del proprio paese a qualcuno che viene “da fuori”: chiaramente l’intenzione è quella di dare informazioni storiche al lettore, ma il modo è completamente sbagliato, e fa sì che il lettore non riesca a identificarsi nei personaggi, l’illusione narrativa viene spezzata, compromettendo il coinvolgimento. Per fortuna anche questa soluzione stilistica viene cambiata nel corso del romanzo, alla fine l’autrice deciderà di relegare le informazioni storiche in piccoli paragrafi.

Il protagonista a 180°

Passiamo ai personaggi: Maria è la protagonista, un personaggio piatto come pochi. Maria è la classica eroina da romanzo rosa Harmony, è bella, è buona, è gentile con tutti, le vengono fatti dei torti ma lei non si arrabbia mai, non porta mai rancore a nessuno e tutti la adorano, chi non la ama è un essere malvagio e viene punito dalla sorte. De Sade a suo tempo si era divertito a calare una protagonista di questo tipo in una serie di eventi sfortunatissimi nel suo romanzo Justine, mostrando come un personaggio così candido non può esistere perché nella vita reale soccomberebbe. Invece in “Caffè amaro” la vita non è reale ma favolosa, e a Maria non succede assolutamente nulla di spiacevole: un uomo molto più grande di lei e molto ricco la vuole sposare, i genitori non la obbligano e la lasciano scegliere liberamente. Il marito non instaura con lei un rapporto meramente fisico, ma la ama e la ricopre di regali, il viaggio di nozze è un sogno, e Maria, quindicenne, non prova repulsione nell’avere un rapporto fisico con un uomo che potrebbe essere suo padre. Le cognate la detestano, ma non fanno nulla contro di lei perché il suocero la adora e le intesta i suoi beni. Il marito la tradisce, ma lei non viene mai trattata male da lui, né viene presa in giro nella società, e quando ha un (brevissimo) confronto con un’amante di suo marito questa cede subito. Passa attraverso la guerra senza soffrire nemmeno la fame, perché è di famiglia ricca. Nemmeno la sua bellezza avvizzisce. Tutte le sue “sventure” sono temperate, affinché ci sia comunque qualcosa di cui raccontare, ma non si sfiorino emozioni troppo intense, violente e difficilmente gestibili come la rabbia, il rancore, la disperazione e la cieca gelosia.

Si risolvono da soli

Per capire meglio quanto è costruito male il personaggio di Maria, prendiamo come termine di paragone un’altra eroina, Tatiana de Il cavaliere d’inverno, un altro romanzo che ha avuto molto successo in Italia: anche Tatiana è la protagonista di un romanzo romantico di ambientazione storica, e anche lei attraversa gli orrori della seconda guerra mondiale, ma è completamente diversa, è un personaggio verso la quale si può davvero sviluppare empatia. Tatiana si innamora per la prima volta nella sua vita e scopre che l’uomo che tanto l’aveva colpita era lo stesso per cui sua sorella aveva perso la testa; vivrà questa storia con tanti ripensamenti e sensi di colpa, e durante la guerra subirà il lato più egoista dei suoi parenti, e lei stessa ne mostrerà uno. Non è impossibile che la protagonista sia bella e buona, ma è impossibile che questa nella sua vita non abbia che passioni tiepide e problemi che praticamente si risolvono da soli, mantenendosi pura e perfetta in ogni situazione.

Caffè bruciato

In conclusione, l’ho trovato un romanzo non solo mal strutturato, ma anche poco coinvolgente, che non lascia alcun segno, che non muove nulla nell’animo. Può al massimo risultare gradevole per chi, stanco delle sue sfide quotidiane, vuole rifugiarsi in un mondo in cui tutto riesce bene ed è facile, ma è probabilmente un’illusione che non vale il costo del libro.

Ad ogni modo, buona lettura.

Sara

Ciao! Sono la fondatrice del blog letterario "Il pesciolino d'argento", amo profondamente i libri, l'arte e la cultura in generale.

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Una risposta

  1. Elisabetta ha detto:

    Concordo con la critica: faccio difficoltà a concludere la lettura per lo scarso coinvolgimento.